Nossiter, lezione sul vino (naturale)

Jonathan Nossiter ci riceve nella sua casa romana di Trastevere. Fuori dalla porta, un cartone di vino Emidio Pepe. Dentro, il Golden Retriever Chet, Paula, la splendida moglie (di Nossiter, non di Chet) e i tre piccoli zampettanti per casa. Definire Nossiter un regista è riduttivo. Perché oltre a dirigere, Jonathan è un appassionato di vini. Nello specifico di vini naturali. Ha scritto un libro sul vino e cinema (Le Vie del vino, Einaudi 2010) e nel 2004 è andato a Cannes con Mondovino, un film che ha cambiato il nostro modo di bere vino. Una passione travolgente la sua, che non diventa fanatismo perché temperata dal cosmopolitismo razionale di chi ha visto il mondo: nato negli Stati Uniti, ha vissuto a lungo in Francia, poi in Grecia, Gran Bretagna, Italia. Dopo una lunga parentesi in Brasile (terra d'origine della moglie, documentarista), da pochi mesi Jonathan, diventato cittadino brasiliano, si è trasferito a Roma. E all'Isola del Cinema ha presentato la sua ultima fatica, Rio Sex Comedy, commedia agrodolce con Charlotte Rampling, Bill Pullman e Irène Jacob. Jonathan dice di amare Puntarella Rossa e di apprezzarne soprattutto lo spirito corsaro e le scelte lontane dalle logiche mercantili seguite da altre guide. Non manca di rimproverarci per la disattenzione alle carte dei Vini. E allora noi lo ripaghiamo con una lunga intervista (divisa in tre parti): più che un'intervista, una lezione, divertente e seria, istruttiva e appassionante, beverina e di buona struttura.

Jonathan, dove ti è venuta la passione per il vino?
A 15 anni, a Parigi, facevo il cameriere. E già sentivo il piacere di bere e servire il vino. Poi ho fatto un corso di sommelier a New York e ho cominciato a fare carte di vini. La prima carta dei vini naturali l'ho fatta da Chez Bernarde. Un tipo incredibile, un cocainomane, fisicamente simile a Depardieu. La zona, Alphabet City, all'epoca era pericolosa e mal frequentata (oggi è un estensione di quel centro commerciale di lusso-pornografico che è diventato Manhattan), ma lui aveva messo in piedi un ristorante dove tutto era organico. Stiamo parlando degli anni '80.

Andava ben controcorrente…
Sì, io e lo chef facevamo il biologico per convinzione politica e per piacere sensuale. Bernard anche per istinto commerciale, furbo, in anticipo sui tempi. Allora era difficile capire davvero cosa era biologico. Gli anni '80 sono stati un periodo buio in tutti i sensi. E' l'epoca di Reagan e della Thatcher.

Edonismo reaganiano anche nel vino?
Direi anti edonismo reaganiano. Promulgazione del piacere populista, anti democratico, nel senso di non rispettare le differenze individuali. Prendiamo il Bordeaux, era da sempre una costruzione di potere, nato per compiacere il gusto dell'impero inglese. Con l'arrivo dell’impero americano del dopoguerra, negli anni '80 si è cambiato il gusto del Bordeaux per rispecchiare i gusti americani. E poi il vino, come specchio del desiderio e del potere americano, si è fatto sentito anche in Italia, con personaggi come Gaja.

Parlaci di Gaja
Lui è un po' il Berlusconi del vino. Un po' Berlusconi un po' Armani. Ha capito come trasformare il vino in immagine da vendere, in prodotto di lusso e status symbol. Quel periodo ha coinciso con l'inizio della fine dell'etica politica. E negli anni '90 sembrava che la stessa cosa potesse accadere al vino.

Dipingi un quadro tremendo.
Anche la "sinistra” ha tradito la sua etica, da Mitterand negli anni '80, a Blair negli anni '90. Non è un caso che per il vino è sembrato un periodo apocalittico. Il vino, come prodotto dell’agricoltura ma anche della cultura, ha sempre rispecchiato la società, dall'impero greco e  romano fino a oggi.

Come e quando è cambiato il vino?
Con la prima guerra mondiale si sono fatti passi tecnologici molto importanti, sopratuttto con la chimica. Quando è finita la guerra, non sapevano più che farsene di tutta quella merda chimica.

Fammi indovinare: l'hanno utilizzata per incrementare la produzione del vino.
C'è stata un'alluvione di chimica sul cibo, dopo la prima guerra mondiale, e sul vino dopo la seconda. Sono convinto che una buona percentuale di tumori negli ultimi decenni sia stato causato da questo.

E anche per il terreno non è stata una passeggiata.
Negli anni '80, dopo venti-trenta anni di colture intensive e di chimica, l'80 per cento dei terreni era distrutto. Per tornare come prima, servono molti anni.

A quel punto scatta la rivoluzione del vino naturale
Già prima, negli anni '60, alcuni produttori coraggiosi come Emidio Pepe scelgono di non usare un grammo di chimica. Lui se ne sta lì, a Torano Nuovo, in Abruzzo, e tutti gli dicono: ma sei matto, come fai. Perché con la chimica fai più volume e più soldi. E poi, in Francia, c'era gente come Hubert de Montille (nella foto a destra), che in Borgogna produce il Volnay, vino da sempre amato dai principi, e che sente lo stesso impegno etico.

E qui arriviamo a Mondovino.
Sì, lui è uno degli eroi di Mondovino. Un aristocratico francese e un contadino abruzzese, Pepe, creano la resistenza"

Cosa vuol dire bere un vino naturale?
Bere vino naturale è un atto culturale forte, come leggere Malaparte o Svevo. Un vino naturale è autentico, come può essere autentico un film: guardi Roma città aperta e sei lì, in quel preciso momento. Strappi un tappo, bevi un vino e viaggi. Bere un Montepulciano d'Abruzzo Pepe del '79 ti fa tornare alla fine degli anni '70, a quella tensione tra sofisticato e rustico che c'è in quella terra e c'era in quel tempo. E poi Polifemo.

Che c'entra Polifemo?
Ricordate il vino che Ulisse offrì a Polifemo? Era vino con un potere particolare. Vuol dire che già all'epoca di Omero si distingueva tra un vino e l'altro. Il vino è cultura".

Ed è politica.
Certo. Il vino è un bene culturale al livello del Colosseo e distruggere la memoria storica fa parte integrante del progetto della cultura politica, diciamo bushiana-blairista-sarkozista-berlusconiana.

Cosa c'è di male nel vino anni '80, oltre alla chimica?
C'è stato un processo di falsa democratizzazione del vino che ha fatto danni. Antinori e Mondavi, con la complicità di riviste come Wine Spectator e Gambero Rosso, hanno contribuito nel nome del populismo da un lato, e di un altrettanto falso elitismo da nuovi ricchi, a istituire premi, a rendere il vino sexy e vendibile ovunque nel mondo. Hanno sfigurato la particolarità del territorio come luogo di cultura storica, come patrimonio. Il vino è come un film.

In che senso?
Se l'attore è l'uva, la sceneggiatura è la terra e il regista è il produttore. Si è scelto, invece, di pensare solo al marketing della marca. Dimenticando che si tratta di un piacere complesso che ha previsto per millenni l'abbinamento con un piatto. Parliamo dell'evoluzione del Bordeaux e dei tannini.

Ecco, parliamo un po' dei tannini
Prima il Bordeaux era un vino talmente vivo e reattivo (anche quello che andava ai lord inglesi) perché si abbinava con piatti come l'agnello di Pauillac, una carne forte e sottilmente grassa. Per pulire il palato c'è bisogno di tannini (una forma di acidità rugosa che, da solo, secca la lingua). Il Bordeaux non veniva prodotto per vincere un concorso del Gambero Rosso o per gente come Robert Parker che sputava e diceva cento punti o tre bicchieri. No, erano vini fatti per accompagnare una tradizione culinaria. Quei tannini feroci – impossibile da godere in una degustazione moderna, detta “professionale” (pensiamo a un “Miss World”) – facevano venire fuori il sapore dall'agnello. E una provocazione stupenda. Il grasso e la forza della carne ammorbidisce l'effetto dei tannini nella bocca. Diventa eccitante, salato, minerale e con meno alcol. Sapete quanti gradi aveva il Bordeaux classico fino agli anni '60?

Tredici?
Sbagliato. Ne aveva 11, al massimo 12. Nell'800 erano ancora meno, a volte 9 o 10 gradi. L'alcool è solo una parte del vino.

Ora si va facilmente sui 13 e 14. E' un male?
Succede perché negli anni '70 '80 hanno vinto i vini californiani, caricati di frutta molto dolce e molto matura, con tannini morbidi e molti gradi. E' un male? Se l'agnello è di supermercato non sa di nulla e allora chissenefrega,  meglio che la bocca sia riempita di alcol e frutta. E' come McDonald's, siamo nel big mac, nel ketchup. Accade per il Bordeaux ed è accaduto per il Chianti. Il Chianti di oggi è uno scherzo (tranne Pacina, le Boncie, Badia a Coltibuono, Castelli'n Villa e alcuni altri), grazie a tanti nuovi ricchi (stranieri e italiani, come Gaja) che si sono comprati fattorie in Toscana per ostentare il loro presunto buon gusto – come dei Medici di serie C. E, ancora più sorprendente, grazie ai toscani veri, antichi diciamo, super toscani, come i miei amici di Antinori e Frescobaldi che mi amano tanto.

Immaginiamo, dopo aver visto Mondovino.
Sì, hanno anche cercato di bloccarlo, hanno minacciato cause. Ma io ho documentato solo la realtà e quello che mi dicevano. Quando ho cominciato le riprese, nel 2000, ero molto depresso. Avevo l'impressione di filmare un cadavere. Sembrava che il modello del vino omologato stesse per vincere e uccidere. Poi, a poco a poco, ho incontrato i resistenti. Gente come Battista Columbu, un sardo straordinario di 90 anni, ex partigiano, uno che è sempre stato nel vero biologico per buon senso contadino e coraggio etico.


Segue qui

(e nella seconda puntata dell'intervista-confessione-lezione, Jonathan Nossiter parlerà dei vini barricati che sono Besson e dei vini naturali che sono Cassavetes. Compiangerà Al Pacino, esalterà Pasolini e spiegherà una volta per tutte che Rudolf Steiner e la biodinamica non son roba da hippy sciroccati reduci del new age anni '90, ma una teoria seria, scientificamente provata. E parlerà di un biodinamico indiscutibile, il vino più caro del mondo, il Romanee Contè)

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