I migliori ristoranti di Roma 2015 (e i peggiori), secondo Er Murena

I migliori ristoranti di Roma 2015 (e i peggiori) Questa cosa delle liste, alla fine, diciamolo, è un disturbo ossessivo-compulsivo che andrebbe curato. Colpa innanzitutto di quel simpatico cazzaro di Nick Hornby, che in Alta Fedeltà ci ha ammorbato l’adolescenza, invitandoci a fare la lista delle ex fidanzate, delle fregature peggiori, delle migliori canzoni. Poi i giornali, con gli specialoni di fine anno. E infine, il colpo di grazia dell’algoritmo di Google, che fa impazzare le liste su ogni sito che campa di clic. E allora, eccomi qui anch’io con una mia listina. Sgangherata, naturalmente, come mi si addice. La listina del buono e del cattivo nella ristorazione romana del 2015. Niente di scientifico, l’avete capito, solo un piccolo campionario del tutto personale e soggettivo, che magari può essere utile a qualcuno per farsi un’idea o per cambiarla.

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Le nuove aperture intanto. Anche quest’anno Roma è stata costruita una seconda volta, con una caterva di nuove aperture che ogni volta stupiscono e frastornano. Ma da dove arrivano tutti questi soldi? E dove vanno a finire? Dubbi oziosi, non daremo certo risposte qui, che non ne abbiamo. Aperture opulenti, ambiziose. Basta scorrere la colonnina destra della home romana di Puntarella Rossa per avere un’idea delle ultime. Quel che è certo è che quest’anno è stato Prati il quartiere più premiato dalla movida di architetti e preparatori atletici di chef. Si è cominciato con Le Carrè Francais, questo localone francese a due passi da piazza Cavour, che ha fatto discutere per le sue più che discutibili origini politiche. E si finisce con Madeleine, altro francesismo declinato in salsa romana, subito preso d’assalto da orde di famelici cacciatori di novità. Come sono? Mah. Che dire.

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Madeleine, per ora, si segnala per piatti trasandatiporzioni striminzite (quando ho visto arrivare il taglierino con qualche listarella di formaggio miserrimo mi sono intristito alquanto) e imponente inquinamento acustico. Altro gettonatissimo locale, Pasticcio: gode di una bella vista, ma anche di un nome disgraziatamente profetico. Per ora la cucina ha fatto soprattutto pasticci, nel senso deteriore del termine, e si spera in un rapido recupero. La formula di Plancha, con la sua cucina alla piastra, non è male, se non fosse funestato (almeno per il momento) da un servizio pressante e invasivo.

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Delle nuove, aperture, dunque, cosa mi piace? Poche, pochissime. Anche perché son spesso uguali (dove l’ho già visto il menu di Platz? Da Baccano? In altri mille posti?). Troppo grandi, questi locali, con troppi compromessi sulla qualità. Nati per soddisfare una clientela avida di novità e poco esigente con la cucina. Verrebbe da dire che servirebbero meno architetti e più cuochi. Meno uffici stampa e più camerieri addestrati. Ma forse sono ubbie da sociopatico, poco avvezzo alla modernità. Ogni tanto ripenso con tenerezza alla romanità coatta vera di una volta, senza tutti questi travestimenti, che rendono la coattitudine (ullà, mica male la coattitudine) un po’ triste

Che altro, tra i nuovi? Il Coffee Pot trasteverino, sushi dentro una foresta, ambientazione suggestiva e improbabile, Roma nord in trasferta e un servizio da dimenticare (salvo una cameriera che direi che da sola vale la visita, se non finissi nelle liste di proscrizione per sessismo). Il vegeteriano fighetto Orto: ambiente moderno e finalmente poco punitivo per un vegetariano, ma poi? Solita zuppa, con scarsa fantasia e sbobba verde ma non entusiasmante. La fantasia non è di questa città, più abituata a rassicurare palati piallati dalle mode e gusti dozzinali. Questa città è per tradizionalisti e modaioli. Non c’è spazio per fantasia, estro, innovazione, ricerca. O ce n’è poco. Più facile puntare sulla solita carbonara. O su un format da clonare (vedi Ted, sulla scia della lobster roll mania). O magari su uno chef che presta il suo nome, più o meno noto, per quelle che vengono chiamate consulenze e son di solito specchietti per le allodole (speso il nome, aperto il locale, gabbati gli astanti, lo chef alla chetichella se ne va a farsi dare qualche soldino altrove). A quel punto, meglio spendere una caterva di soldi e precipitarsi da Giulio Terrinoni e il suo Per Me, che almeno offre una qualità e una ricerca di tutto rispetto.

nubazzar

Oppure farsi un’oretta di macchina per esplorare la creatività e la fantasia e i teschi colorati del nuovo progetto di Salvatore TassaNubazzar.

E dunque? E dunque quest’anno ho deciso che piccolo è bello. Che mangio bene e sto bene solo in localini di dimensioni ridotte, possibilmente ben riscaldati, caldi non solo per termosifone, ma per calore umano, di osti, cuochi, camerieri, clienti. Persone, uomini e donne. Roba minima, magari, ma dove si sta coccolati e si può arrivar da soli e uscirne confortati, nella pancia e nello spirito. Per questo, la mia listina quest’anno vede in cima Mazzo, che non è roba minima ma massima. Una stanzetta, con un tavolaccio e un cuoco che ha la barba lunga e la sa lunga*. La cameriera, piemontese, è serena e competente, non ti mette fretta e sa di vino e di ingredienti.

  • Errata corrige. Vedo una vibrante protesta di Francesca Fooders Barreca, colpevolmente non citata, che mi accusa di sessismo e medita addirittura di lasciare il Paese all’ennesimo episodio di discriminazione. Mi profondo in umilissime scuse, la verità è che sono un maschio rozzo e cialtrone, dominato da una cultura fallocrate. E quindi mi pento e ripeto, come scritto in passato dagli amici di Puntarella Rossa, che son più acculturati, che in cucina c’è Marco, con la barba, e c’è Francesca, senza barba. Anzi, scusate, c’è prima Francesca e poi Marco, che, diciamolo, non è neanche tanto bravo, è arrivato lì solo perché è un maschio virile con la barba. Spero che la correzione sia utile e prometto di emendarmi e di non ricascarci più in futuro.

 mazzo roma insalata

I piatti sono una meraviglia di originalità e di gusto. Quando non ne potete più di sua maestà la carbonara (che sarà mai, ovetto e pancetta, pardon, guanciale), venite qui.

mazzo roma quaglia

Assaggerete straordinarie lumache fritte, quaglie croccanti, zucche panate, peperoni cruschi, scarpette di trippa. Bevendo bene, vini naturali, biodinamici, ma anche solo vini buoni e a prezzi ragionevoli. Altro posto dove mi rifugio di tanto in tanto, nonostante un po’ di freddezza d’ambiente, è Mostò. Lasciate da parte la vostra consueta arroganza (suvvia, si scherza, non fate quella faccia) e fatevi guidare da Ciro.

cesare al casaletto pasta

Per il resto? Per il resto, confermo la bella formula di Litro e se voglio mangiar romano torno a rifugiarmi da Cesare al Casaletto, che resta una certezza. E se voglio bere bene mangiarmi un buon brasato al Barolo mi rifugio da Fafiuchè, localetto mezzo piemontese e mezzo pugliese, con una straordinaria cantina sabauda e una gentilezza che si sposa, incredibile a dirsi, con la competenza.

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Poi, poco altro. Cioè, altro ci sarà, ma va scoperto, battendo palmo a palmo la città, scartando modaioli e fricchettoni, pretenziosi e ricicloni, lasciandosi alle spalle piastrelle parigine e finti bistrot francesi e gustandosi la scoperta di una sera e l’emozione di un frammento di cioccolato dentro una crème brulée. Che il giorno dopo è un altro giorno, si sa, e tutto può cambiare.

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Altrimenti, meglio buttarsi via e farsi un aperismalto da qualche parte. O andare dalla fraschetta e che cazzo der Burino.

Che dite, son troppo perfido? Ma mica mi chiamano Er Murena per niente, no?
Statemi bene e bevete il nettare con le bollicine a Capodanno, che sia spumante o che sia champagne. E non trascurate di amare  e di oziare.
Il vostro affezionato Er Murena.

Locali citati

I preferiti

Mazzo
Mostò
Litro
Fafiuché
Cesare al Casaletto
Per me
Nubazzar

Gli altri        

Le Carrè Francais
Madeleine
Pasticcio
Coffee Pot Platz Grand Bistrot
Orto 
Ted
Plancha