Champagne Socialist Milano: ecco perché il vino naturale è trendy ma non è solo una moda

Champagne Socialist Milano, Tel. 02 204 7295, l’enoteca a Porta Venezia con 400 vini naturali e conserve vintage. Ha ritirato su la serranda dopo la pausa estiva l’indirizzo inaugurato il 12 luglio 2017 in via Lecco 1, al posto di un baretto senza pretese, a due passi dalle vie più africane della città (via Tadino e traverse). Siamo nel cuore gay del quartiere di Porta Venezia. Nella Milano città di mode, e modi, a volte dannatamente sexy, da Champagne Socialist si beve vino naturale o meglio vivo, con zero solfiti aggiunti, prodotto, come ci assicurano, da vignaioli indipendenti, italiani ed europei.

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Etichette selezionate che lo rendono unico in città. “Sulla tendenza del raw wine (vino grezzo) e di wine bar molto popolari all’estero, abbiamo voluto creare l’atmosfera di un negozio di dischi, dove si sta bene, proprio come funziona negli indirizzi giusti di Londra, Barcellona, Parigi”, ci ha detto Alessandro Longhin, uno dei due titolari di Champagne Socialist. Ecco in 11 punti cosa c’è da sapere:

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Premessa. Il cibo servito? Scatolette ricercate, con pane bianco. Da spiluccare. L’ambiente? Niente è fuori posto, neppure la trasandatezza. L’intento? Quello di creare un’enoteca rilassata e ironica. Per milanesi imbruttiti che vogliono sentirsi internazionali. Tra i riferimenti prendete a Londra il St John Bar & Restaurant Smithfield, una stella Michelin, rinomato per la sua tradizione gastronomica a Clerkenwell o locali come il P Franko o il Terroirs.

1 – Vino biologico? Naturale? No vino vivo. Il movimento del raw wine è un fenomeno relativamente nuovo. Dall’8 febbraio 2012 esiste ufficialmente il vino biologico (che è cosa diversa dal naturale, tipo di vino che non ha definzione giuridica), grazie all’approvazione del regolamento europeo che ha introdotto i limiti all’utilizzo dei solfiti (50mg/l per i vini secchi e di 30mg/l per i vini più dolci). “Anche se, come ricorda Longhin, ci sono scarse leggi sull’etichettatura e molta confusione. Per quanto riguarda il vino naturale, io parlerei di vini vivi, fatti da vignaioli indipendenti che non usano né tecniche, né prodotti di sintesi (no additivi chimici, no lieviti, né rettifica di zuccheri o di acidità), sia in vigna che in cantina. Non è così importante quanto produci ma come”.

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2 – La tendenza raw wine. Più vignaioli, meno enologi. “Consapevoli di quello che mangiamo, perché non di quello che beviamo?” rimarca Longhin. Quindi? “Non conta più solo bere la giusta quantità, ma bere meglio. Di fatto, continua, quella del vino più naturale è una tendenza che arriva dall’estero, che unisce una tribù legata alle cantine di vignaioli cosiddetti disobbedienti, che non usano (cosa molto audace) aiuti tecnologici in cantina“. E noi in Italia siamo molto bravi a non valorizzare ciò che abbiamo. Il paradosso? “Molti dei produttori di vini naturali hanno le vigne da noi ma esportano quasi tutto all’estero, dove c’è più attenzione a questo tipo di prodotto. In Italia, invece, negli ultimi 20-30 anni abbiamo bevuto vini che non sempre ci hanno fatto bene, vini da vitigni standardizzati. Colpa nostra? Colpa dei sommelier? Insomma, abbiamo iniziato a farci delle domande, a bere diversamente. Dietro a un locale come questo c’è molta ricerca. Siamo andati a scovare delle vere e proprie chicche grazie ai nostri viaggi tra Londra, Berlino, Francia fino a Tokyo”.

3- I due socialist. “Qui abbiamo vini onesti e verità”, dichiara Longhin. Per uno che, con il socio Davide Martelli, arriva dalla comunicazione e dalla moda legata al mondo del lusso, dove un vitello tonnato costa 20 euro, suona come una sfida al contrappasso. O semplicemente hanno capito quello manca, con il fiuto degli apripista, un po’ hipster, attenti ai nuovi lussi. A Milano l’astuto duo è conosciuto per aver creato con successo The Botanical Club, locale di nicchia che guarda New York, nato nel quartiere Isola nel 2015, con micro distilleria di gin, diventato un format con il secondo in via Tortona e l’ultimo nato, Ideal Cocktail. Frequentatori di ristoranti stellati e fiere di settore, entrambi sono due cacciatori di tendenze, attentissimi a cosa va nei consumi delle capitali del mondo che conta e che detta la linea, anticipando la massa. Così, si sono inventati un marchio e ci hanno costruito attorno una storia, come si dice adesso, usando uno dei termini più abusati degli ultimi anni, che di fatto però funziona perché il consumatore/cliente abituato alle novità, come quello milanese, vuole essere sorpreso, a volte anche essere inconsciamente preso un po’ in giro. E quindi, vai di storytelling e di vini onesti.

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4 – L’ambiente e quei bicchieri. Un po’ di chic marketing. Se oggi comunicare il vino in Italia è ancora un problema per un eccesso di autoreferenzialità, la nuova insegna, che di fatto non c’è, si presenta da fuori con due anonime vetrine e qualche tavolino. Dentro? Ti ritrovi seduto tra pareti scrostate ad arte, che ospitano centinaia di bottiglie in due stanze di cui una lunga e stretta con un bancone di legno su cui poggiano libri e riviste, messe non a caso.  Di fronte a te? Un calice che riporta la A di anarchia, una grafica studiata che gioca con l’incastro delle iniziali C e S. Roba da piccoli geni del marketing enogastronomico.

5 – Più socialitè che socialismo. “Il nome Champagne Socialist, tra provocazione, guerrilla marketing e sinistra del caviale, rimanda all’atteggiamento borghese radical chic, in francese gauche caviar”, continua Longhin. Il locale in sé è stato anticipato da una campagna di comunicazione sui social con scritte stampate su simboli milanesi, dal Duomo alla stazione di piazza Cadorna, con un formato che richiamava la protesta, facendo il verso alla street art . “Sempre senza prendersi troppo sul serio – dice con il sorriso Longhin – Bisogna essere a proprio agio. Il mondo del vino invece si atteggia molto. Gli addetti ai lavori e le enoteche non hanno un approccio rilassato”.

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6 – Chi beve (e produce) naturale. Un po’ come capita nel mondo della birra o nella musica indie, i vignaioli protagonisti internazionali del movimento raw wine fanno rete. Qualche nome? Gabrio e Giotto Bini di Serragghia, Marco Buratti di La Farnea, Gian Marco Antonuzi di Le Coste, Frank Kornelissen di Kornelissen, Massimo Marchiori di Partida Creus. Tra i giovani italiani che stanno portando avanti questa filosofia-rivoluzione in Italia e nel mondo, oltre ai due Socialist di Milano, ci sono Max e Stefano Colombo di Bar Brutal (Barcellona), Damiano Fiamma di Tutto Wines (Londra), Ayaki Aron Hortz, portavoce del vino naturale italiano a Tokyo. I vignaioli? “Dietro alcune bottiglie ci sono degli errori di sistema, ma soprattutto sceneggiature da film –  continua Longhin –  spesso i vini e i vignaioli si assomigliano. Sono autarchici, nuovi rivoluzionari, sono talenti con passione, ingenui come gli ex rocker degli anni ’70”.

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7 – La carta (che non c’è). Fatevi consigliare dal personale, ma lasciatevi anche affascinare dalle bottiglie attorno a voi, tenendo un occhio sulla lavagna con le proposte del giorno/settimana. La nota negativa? Manca una carta con la lista chiara dei prezzi a bottiglia, anche perché, chi ve lo dice, che certe chicche non possano essere prezzate sulla base della faccia che hai o non hai?

8 – Cosa si beve? Quattrocento etichette, scelte perché sono buone e fatte con passione, per lo più da Italia, Francia, Spagna, Austria. “Ci sono vini dalla facile bevibilità per i meno esperti e quelli più di nicchia come gli Orange, vini bianchi non filtrati macerati sulle bucce dell’uva e quindi dal colore aranciato. Prezzi? Dai 3.50 euro per il vino alla spina, rosso o bianco, mentre per le bottiglie si va dai 10 fino a 500 euro. Ogni sera ci sono una decina di vini in mescita, da 5-7 euro al calice. In arrivo: Socialist, etichetta di vino naturale del locale, bianco, rosso, petnat (da pétillant naturel – bollicine con metodo ancestrale, senza lieviti o zuccheri) a 9 euro. Ecco qualche esempio: tra i bianchi, Rapatel Blanc 2015 – Domaine de Rapatel – Camargue, Francia (6); tra le bollicine, il Fric, Aglianico Paestum Igt – Casebianche -Torchiara SA Campania (6); tra gli Orange, Solleone 2013, Sauvignon – Tenuta Grillo – Gamalero, AL Piemonte (8); tra le chicche? Merlot 2001 della cantina Radikon o i vini Partida Creus creati da due architetti torinesi in Catalogna.

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9 – Cosa si mangia? Arrivano dalla Galizia e dal Portogallo. Le chiamano conservas: sono delle scatoline dalla grafica vintage con olio d’oliva e a seconda della scelta, pomodoro, filetti di alici, sardine, ventresca di tonno, calamaro ripieno di polpo, patè vari, cozze, salmone e pesce spada. Anche in versione montaditos (a 4-6 euro), crostini di pane bianco con salmone affumicato, yogurt, miele al tartufo; sardine spagnole, patè di pomodoro, olive; calamaretti, cipolla stufata, aceto balsamico; brie di capra, funghetti alla brace, olio al tartufo. Con il vino a calice vengono serviti buoni, ma mini, stuzzichini di formaggio a latte crudo e salame. Tra gli aspetti migliorabili del locale? Proprio la cucina, sia nell’offerta, assai ridotta che negli orari (risicati). Chiude alle 22.

10 – Il mercato del vino naturale. In Italia il mercato non c’è ancora – afferma Longhin – ma c’è tutto un mondo molto interessante e molto vivace che si ritrova alle fiere di settore, come ad esempio Raw Wine, la fiera vinicola itinerante fondata a Londra da Isabelle Legeron e dedicata agli artigiani del biodinamico e naturale, con vino, birra, sake, tè. A Milano per esempio abbiamo da anni La Terra Trema. La stessa Legeron, sostenitrice del movimento del vino naturale, nel settembre 2011 ha scritto sulla rivista Decanter: “I vini naturali esistono da tempo immemorabile. Quando il vino è nato 8.000 anni fa non è stato fatto usando alcuni dei molti additivi e processi utilizzati poi nella vinificazione in tutto il mondo. I vini erano naturali: erano fatti da uve pressate che fermentavano”. Tra gli ispiratori del movimento? L’austriaco Rudolph Steiner che ha fondato l’agricoltura biodinamica, il giapponese Masanobu Fukuoka  e il produttore di vini Jules Chauvet, seguiti negli anni ’70-80 da altri produttori.

11 – Solo una moda? “Se uno vuole bere bene, no”, ti rispondono i sostenitori. L’importante, diciamo noi, è non diventare paranoici. I vini naturali hanno certamente aperto il dibattito sull’autenticità del vino. Il cibo (e il vino) però non ci deve sfuggire di mano. L’importante è che regali una buona compagnia senza gli effetti collaterali, come mal di testa o fastidi alla pelle. Anche se Longhin dice con il ghigno beffardo: “Io bevo solo naturale. Se a una cena mi capita un vino che non lo è? Non rifiuto. Faccio solo finta di berlo”.

Champagne Socialist, via Lecco, 1a, Milano. FacebookInstagram

Orari: lunedì – sabato dalle 11 alle 23 – la cucina chiude alle 22

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