Lo chef Antonello Colonna: “I separatori in plexiglas non sono la soluzione. Come pagheremo stipendi e fornitori con la metà dei clienti?”

chef antonello colonna

Lo chef Antonello Colonna: “I separatori in plexiglas non sono la soluzione. Come pagheremo stipendi e fornitori con la metà dei clienti?”. La Fase 2, la ripartenza, la fine del lockdown: c’è una speranza per riattivare il tessuto produttivo di questo Paese, messo in ginocchio dall’emergenza Covid-19, che parte dai titoloni dei giornali e dagli altisonanti nomi che riecheggiano nelle commissioni e task force che si moltiplicano, dal governo centrale fino alle Regioni. Se ne parla insistentemente da qualche giorno, ora che la curva dei contagi continua a diminuire (anche se i numeri nono sono molto confortanti ad esempio in Lombardia). Si pensa alle fabbriche, ai trasporti, si ipotizzano pannelli di plexiglas per le spiagge. Ma ai ristoranti? Chi ci pensa?

Se lo è chiesto anche lo chef Antonello Colonna, che il 20 febbraio scorso, dopo la chiusura del suo ristorante al Palazzo delle Esposizioni, era approdato alla Terrazza della Stazione Termini:  “Sarebbe utile inserire in una di queste task force che si stanno formando un ristoratore o qualcuno che ne capisce del settore, perché ci sono migliaia di imprenditori e dipendenti che aspettano di sapere cosa devono fare”.

Open Colonna Bistrò Termini Roma

E Colonna è chiaramente uno di questi: tra l’Open Colonna di Milano, il Bistrot di Roma Termini e il Resort di Labico conta circa 100 dipendenti. Un’attività di rilievo, tra alta ristorazione, servizi dedicati al wedding e la novità alla stazione di Roma per un pubblico meno pretenzioso, al momento completamente ferma.

“Dopo 50 giorni di chiusura – si chiede lo chef – la domanda che mi faccio da ristoratore è: secondo il governo, cosa possiamo fare e cosa non possiamo fare? Se non ci dicono come dobbiamo comportarci come facciamo a decidere se riaprire o meno? Perché non è detto che se, come si sente dire, ci sarà l’obbligo di indossare mascherine o se il distanziamento sociale imporrà il dimezzamento dei tavoli nelle sale, gli imprenditori della ristorazione vorranno continuare la loro attività. Avere la metà dei clienti vuol dire dimezzare gli incassi: ci basteranno a pagare i costi fissi, gli stipendi i fornitori?“.

“La Fipe, Confcommercio o la Regione – spiega ancora – si dovrebbero imporre al Governo perché ci assista. Perché chiudere vorrebbe dire mandare i dipendenti in cassa integrazione, interrompere gli ordini dai fornitori, insomma spezzare un meccanismo che fa girare l’economia. So che molti miei colleghi si stanno organizzando con servizi di delivery ma questa non può essere una soluzione. Come non possiamo credere che ci si metterà a tavola con dei separatori di plexiglass o che visto che la gente sta riscoprendo la cucina a casa il destino dei ristoranti è segnato. Non è che se ho un campetto da calcio nel comprensorio, non vado più allo stadio a vedere la partita”.