Piatto Romano a Roma, l’etica dei radicchietti e tante cose buonissime

piatto romano roma

Piatto Romano a Roma, l’etica dei radicchietti e tante cose buonissime. Consigliare un ristorante è una responsabilità. Quando ho sbagliato, anche di recente, perché il posto era cambiato o perché i miei gusti non interpretavano il destinatario del consigliato ci sono rimasto male. Per me mangiare è una cosa seria e ci tengo alla mia “street credibility”.

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Da quando sono a Roma tante persone che passano di qui mi chiedono consiglio su dove andare a cena. Per la pizza e le coccole Seu Pizza Illuminati non si batte, è un posto del cuore. Mancava una trattoria romana. Non che non ne abbia provate, ma niente che avesse veramente rotto il soffitto del “si mangia bene, prezzi onesti” e dai menu troppo “isola greca” (tutti uguali). In questi giorni, circondato da positivi al Covid dormo e ceno da solo a Testaccio e ho un po’ approfondito la conoscenza del posto, bello ma che mi rimaneva sempre un po’ distante, se vivi in una città grande battezzi le zone.

Poi ieri sera, su consiglio di un amico, sono stato da solo da Piatto Romano a Testaccio e ho capito che a chi mi chiederà dove mangiare a Roma lo ripeterò all’infinito, andate lì. A parte i classici (coratella sublime, pajata intera coi rigatoni fatti in casa pure, non me ne vogliano i romani ma se fai bene uno dei classici ragionevolmente farai bene pure gli altri e io non potevo assaggiarli tutti ma ci torno sicuro), sono rimasto incantato dalla ricerca, che va molto lontano senza uscire dall’Urbe, se non per prendere la Roma L’Aquila.

La ristorazione romana deve agli abruzzesi quello che la ristorazione milanese deve ai toscani: dietro tanti ristoranti diventati classici nelle due città c’è un’immigrazione storica e super specializzata di osti. Qui siamo alla seconda generazione degli osti della Torricella, altro presidio storico del quartiere, da cui Piatto Romano eredita alcuni piatti, come le alici arraganate.

Dicevamo ricerca, che per troppi ristoranti-progetto non va oltre la triade Instagram-Identità Golose-catalogo di Longino & Cardenal, ossia tutto quello che si può fare senza alzare la testa dallo smartphone né lasciare il proprio locale.

Qui la ricerca è fatta tra le altre cose di un numero indescrivibile di verdure ed erbe selvatiche che costellano il menu dall’antipasto al contorno. Niente “cicoria o broccoletti” (che ci sono, ma ci siamo capiti), ma senape bianca scottata, malva, una misticanza con il summacco da urlo e dei radicchietti selvatici saltati che mangiavo da piccolo, quando il nostro macellaio ci portava quelli che raccoglieva d’inverno tra le vigne in Valtellina. Il proprietario dice che la scelta delle verdure localissime e scomparse è anche “etica” e qui il termine non è a sproposito: se recuperassimo un’etica del cibo fatta di stagionalità, filiere cortissime, coltivazioni e allevamento a basso impatto e attenzione alle materie prime selvatiche avremmo fatto tutti il nostro dovere e non ci saremmo mortificati. Potremmo continuare a mangiare anche la carne, magari meno perché faremmo una dieta più varia e divertente e perché sarebbe più costosa, alla faccia di chi mangia le edamame del poke e pontifica su quanto si sente più bravə di te che mangi il mangalitsa di Enobio Macelleria.

Poi la ricerca spazia su tutto il resto del menu, dalla carne a una polenta integrale che sarà la prima cosa che assaggerò la prossima volta, ma le erbe selvatiche se non vivi in campagna sono una bella gatta da pelare. Durano pochissimo e per averle in menu ci devi davvero tenere.

Ho finito la cena, maledicendo la mia morigeratezza del mangiatore di mezza età, con un liquore di genziana fatto da loro (fanno pure la pasta secca!) e buttando l’occhio sulla torta crema e visciole dei miei giovani e magri vicini di tavolo, c’era tutta.

Ho speso, felice, il giusto.

Nella foto, i radicchietti: non solo deliziosi?

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