Marco Tombolini, dal violino al Kino

Maltagliati seppie e cozze, baccalà mantecato con piselli, pollo al vetro con peperoni, gamberi in pasta Kataifi. Sono alcuni dei piatti in menu al Kino Cinema e Bistrot (che vi abbiamo raccontato qui). Sono le creazioni di Marco Tombolini, chef per passione, ma anche per caso. Sì, perché Marco per anni è stato un violinista. Ha girato il mondo con la sua musica, per poi accorgersi di preferire la calma di un solo luogo. Il suo palcoscenico adesso è la cucina. E da lì ci racconta di un'altra musicista-gastronoma, della sua esperienza a Barcellona, del suo apprendistato (non sempre esaltante) nei ristoranti romani e del suo chef preferito (Pascal Barbot), che lavora senza menu e senza carta dei vini. Un sogno, per Marco, che potrebbe diventare realtà.

Marco, violinista e adesso chef, com'è andata?
Ho cominciato a studiare il violino a 6 anni. Mi sono diplomato presto, avevo 16 anni. Avevo un insegnante russo che viveva a Roma e ogni settimana venivo dalla Marche, per le lezioni. Finché mi sono trasferito qui, per suonare all'accademia. Suonare mi riusciva abbastanza bene. Avevo un quartetto d'archi con cui facevamo parecchi concerti all'estero. E' stata una bella esperienza, che però è finita.

Come mai è finita?
Diciamo che a un certo punto ho cominciato ad avvertire lo stress. Vivevo i concerti con grande fatica, sentivo troppa tensione emotiva e fisica. Più diventavano importanti i concerti, più mi rendevo conto che stavo facendo una vita che non faceva per me. La musica classica è molto esigente, ti richiede tantissima precisione e poi la verità è che per fare i concerti è indispensabile sentirsi particolarmente bravi, essere un po' egocentrici, sentirsi migliore degli altri, altrimenti non puoi affrontare il pubblico. Probabilmente io non ero così, e ho cominciato ad allentare.

Quando e com'è nata la passione per la cucina?
Quando sei musicista ti ritrovi molto spesso a studiare a casa da solo, anche perché i coinquilini scappano, non ti sopportano. Io passavo intere giornate a provare e riprovare. L'unico momento di svago arrivava quando dovevo prepararmi qualcosa da mangiare. Mi piaceva dedicarmi al cibo, mi rillassava. E anche lì veniva fuori la precisione a cui ero abituato. Ero sempre informato sulle nuove tendenze, andavo nei ristoranti di cucina creativa. Anche quando ero fuori dall'Italia, per i concerti, mi piaceva imparare a cucinare piatti di altre tradizioni. Studiavo gli ingredienti.

Quando hai capito che potevi farne un mestiere?
L'occasione è arrivata per caso. La mia prima esperienza la devo a Sabrina Iasillo, titolare di Uve e forme, in via Padova, proprio di fronte casa mia. Lei mi conosceva come violinista, perché anche lei è una musicista, suona il piano. Ho fatto con lei un corso di sommelier e poi andavo ogni tanto al suo locale a darle una mano, in amicizia.  Finché non mi ha proposto di cucinare per i suoi clienti. Era una piccola sala, una ventina di coperti. Ho accettato così, per sfida. Era pur sempre un'esibizione, che però mi permetteva di restare nascosto in cucina. Sono rimasto lì quattro anni, e sono stati bellissimi. Io avevo massima liberà in cucina, creavo, sperimentavo e a fine serata io e Sabrina a volte suonavamo pure. Lì ho capito che poteva veramente diventare il mio mestiere. E lo è diventato. Dopo quest'esperienza sono andato in Spagna, ho lavorato con lo chef Xavier Pellicer a Barcellona. Era l'epoca dei sifoni, delle spume e delle gelatine. S' inventava e si giocava con i sapori e con le forme. Poi sono tornato a Roma, perché mi hanno proposto di lavorare al San Lorenzo, un ristorante di pesce, un posto con grandi pretese, molti coperti ma poca fantasia. Dopo un paio d'anni ho mollato e dopo qualche esperienza a Testaccio mi hanno chiamato qui al Kino.

Com'è lavorare al Kino?
Il Kino è un vero e proprio bistrot. Pochi coperti, una scelta limitata sul menu. Sono molto libero di creare, sono io a fare la spesa. Di solito scelgo un ingrediente e su quello modello i miei piatti. Adesso per esempio ho scelto i piselli e per stasera m'inventerò qualcosa. Non c'è niente di meglio per uno chef che sentirsi libero e padrone della propria cucina.

Chi è il tuo mentore? Da quale chef trai ispirazione?
Per me il miglior cuoco del mondo è
Pascal Barbot, de L'astance di Parigi. Lui fa quello che un giorno vorrei fare anche io. Nel suo ristorante non c'è il menu, non c'è nessuna carta dei vini. Lui cucina quello che più lo ispira,  abbina i vini e porta in tavola. Le prenotazioni ormai vanno fatte mesi prima, perché ogni volta stupisce e conquista. Magari un giorno mi apro un posto così qui a Roma, magari.

E il violino? Lo suoni ancora?
Suonicchio, ma solo quando sono a casa da solo.  Quando sei abituato a un certo livello di preparazione e precisione sai che è impossibile suonare bene senza allenarti almeno 8 ore al giorno, tutti i giorni. Quindi quando suono non mi sopporto, non riesco ad ascoltarmi. Preferisco cucinare.

 

Baccalà mantecato con piselli

Il menu del Kino bistrot, che cambia quasi ogni giorno, basta un colpo di spugnetta

 

Kino Cinema e Bistrot, via Perugia 34, Roma. Tel +39 366 4571726 / +39 06 96525810. Sito. Chiuso il lunedì