La gricia, perché è la sorella sfigata delle paste laziali

La gricia, perché è la sorella sfigata delle paste laziali. Quando mi sono trasferita a Roma, a ottobre 2015, non avrei mai pensato di innamorarmi così tanto di questa città. Amo tutto, ho imparato ad amare anche i suoi disastri. Ma se dovessero chiedermi di scegliere qual è la cosa che amo di più in assoluto di Roma, non avrei dubbi: la gricia. Folgorata lungo le strade della Capitale, ho scoperto questo primo piatto tipico che, anche da turista durante le mie precedenti visite, non avevo avuto l’occasione di assaggiare. È stato amore. E forte del mio sentimento, ho voluto parlare con chi di gricia se ne intende per cercare di risolvere un cruccio che mi attanaglia da diverso tempo: ma perché fuori dal Lazio nessuno (o quasi) conosce la gricia? L’ho chiesto ai titolari di Da Enzo al 29, trattoria di cucina romana a Trastevere.

Da Enzo al 29: aiutatemi voi

Da Enzo al 29 Roma
Foto pagina Facebook Da Enzo al 29

Negli anni della mia fanciullezza in Toscana di cose buone ne ho mangiate davvero tante (per esempio i cenci, alias frappe, di nonna Marisa), ma raramente ho goduto come quando mangio una gricia fatta come si deve. Nella mia testa si muovono le immagini di un piatto fumante che esce dalla cucina, svolazza fino al tavolo e si poggia davanti a me: bello nella sua semplicità, avvolgente e irresistibile. Perché gli altri devono essere privati di questa meravigliosa esperienza? Eppure è così. Fuori dal Lazio quasi nessuno sa dell’esistenza della gricia, quasi fosse la sorella sfigata. E io ne sono l’esempio, dato che fino a qualche anno fa, ignorantemente, mi limitavo alla triade carbonara-amatriciana-cacio e pepe. Tre paste che conoscono anche nel paesello sperduto sulle montagne della Valle d’Aosta; qualcuna di queste addirittura è arrivata negli Stati Uniti e non c’è un turista che passi da Roma che manchi di chiederne un piatto.

Per fare luce su questa faccenda che mi sta così tanto a cuore, ho parlato con Maria Chiara Di Felice che insieme ai suoi fratelli porta avanti la trattoria Da Enzo al 29 e che dopo la mia richiesta di provare a capire insieme il perché di questa grave mancanza, si è arresa all’evidenza e ha ammesso la triste realtà: la gricia è tra i primi piatti meno richiesti nella sua trattoria. Una trattoria, la sua, che si trova in un punto strategico: Trastevere pullula(va) di turisti, grandi mangiatori di carbonara e cacio e pepe, ma rilegare Da Enzo al 29 al ruolo di locale turistico sarebbe eresia. Qui si mangia bene, le materie prime sono scelte accuratamente e i prezzi sono onesti. Passano clienti di tutti i tipi e sulla base di infiniti piatti di pasta portati in sala, Maria Chiara non può che darmi ragione. Le chiedo quindi perché (un perché ci dovrà pur essere).

L’esecuzione è più complessa?

La Gricia Da Enzo al 29 Roma
La gricia Da Enzo al 29 a Roma

“Le paste tradizionali sono tutte gustose e vanno a soddisfare veramente tanti palati. È sbagliato pensare che la gricia sia meno conosciuta e diffusa perché è meno buona. Anzi, se la gioca piuttosto bene con le altre” mi dice. “Però penso che per diffondersi in maniera importante, un piatto non debba essere solo buono e gustoso: probabilmente la differenza sta nella sua complessità”. E con questa affermazione si apre la prima riflessione: come si prepara una gricia. “Non ci si deve far ingannare dai pochi ingredienti. Meno ingredienti ci sono, più diminuisce il margine di errore nella preparazione: meno prodotti, più manualità, tanta questione di temperature”. Guanciale, pecorino, pepe: li troviamo, alternandosi, tutti e tre nei piatti della tradizione regionale. A parità di ingredienti (quindi di qualità), la gricia potrebbe avere bisogno di qualche attenzione in più nell’esecuzione. Da Enzo al 29 utilizzano il guanciale IGP di Amatrice, lavorato ad Accumoli, che ha una stagionatura (di circa tre mesi) superiore alla media. “Qualitativamente è anche più sano” mi spiega Maria Chiara, “perché ricco di grassi buoni, e riesce così a dare la massima resa: il nostro obiettivo è cuocere un guanciale che sia croccante fuori e morbido dentro”. Sul piatto si trova, quindi, un guanciale tagliato grossolanamente, nient’affatto sottile, proprio per garantire questa alternanza di consistenze. Il pecorino è romano DOP, con una stagionatura di un anno. È compatto, piccante, pungente. E poi c’è la pasta. Da Enzo al 29 optano per i rigatoni, realizzati artigianalmente nel cuore del Parco Nazionale della Majella in Abruzzo, ma su richiesta è possibile ordinare anche i tonnarelli. “La gricia col tonnarello è sublime, ma è una questione soggettiva, per questo offriamo una doppia scelta ai clienti”. Infine il pepe nero del Sarawak, macinato al momento e alla fine della preparazione, poco prima di addentare la pasta, “penso che metterlo sul finale lo renda meno aggressivo”.

Non tutti, quindi, secondo Maria Chiara sarebbero in grado di preparare la gricia. Non tutti sanno preparare la carbonara o la cacio e pepe o l’amatriciana, aggiungo io, eppure c’è chi arriva a Roma solo con l’intento di assaggiarle. La loro fama le precede e talvolta supera anche preparazioni non eccelse. Allora perché questo divario di popolarità?

Scenografia? No grazie 

La Gricia Da Enzo al 29 Roma
La gricia Da Enzo al 29 a Roma

“La gricia è meno richiesta sicuramente dagli stranieri, che spesso vengono per la carbonara” dice Maria Chiara. “C’è poi il turista più curioso che vuole sperimentare: noi gli proponiamo la gricia e lui accetta. Ma nella maggior parte dei casi, sono romani e laziali a richiedercela”. Per il resto è un dominio della triade. La spiegazione della titolare di Da Enzo al 29 ci può stare, “la gricia è più complessa, qui la preparazione fa davvero la differenza”, ma non è l’unica spiegazione. Riflettendo sulle sue parole, mi spingo verso una seconda riflessione. Quando penso alla carbonara, all’amatriciana e alla cacio e pepe io mi riferisco a paste piacione, scenografiche, barocche. E ci tengo a precisare che “piacione, scenografiche, barocche” non sono accezioni negative: io le amo tutte, sono buone, sono golose e difficilmente rinuncio a un piatto. Ma portano con sé origini misteriose (vedi la carbonara la cui leggenda dice che nacque dall’incontro tra i soldati americani e un cuoco italiano nella Seconda Guerra Mondiale e sulla quale ancora non ci si mette d’accordo), colori brillanti – la crema gialla delle uova, il rosso del pomodoro -, ricette codificate come nel caso dell’amatriciana, preparazioni scenografiche come quando la cacio e pepe viene servita al tavolo all’interno della forma di pecorino. Hanno un curriculum di tutto rispetto, un corredo di tradizioni e spiccate caratteristiche che hanno contributo ad accrescere lo loro fama fuori dal Lazio a discapito della gricia che, invece, è rimasta più nascosta. Ma una volta scoperta, come si fa a resisterle? Ma ci pensate che, in fin dei conti, è una pasta finita di cuocere e saltata solamente in tutto quello che di buono e goloso sprigiona il guanciale? Credo che sia la sublimazione del grasso: la gricia è il vero piatto in cui il guanciale si racconta, si mostra, si lascia godere al massimo. Non ha bisogno di particolari sostegni, né uova né pomodoro. Il pecorino la accompagna gentilmente, mentre il pepe aggiunge il tocco finale per completare la magia.

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