Misticanza osteria della terra a Roma, all’Alberone il ristorante vegetariano firmato Hopificio

Misticanza osteria della terra a Roma. Non un quartiere, ma una zona di Roma, che fa capo all’Appio Latino, l’Alberone si era sempre distinto per la presenza di quell’albero maestoso che aveva dato il nome alla piazza che lo ospitava, poi caduto per il vento nel 2014. Nella zona si erano già stanziati Marco Mascherini, Claudio Lattanzi e Marco Valentini, che con l’apertura di Hopificio hanno contribuito a ridisegnare il concetto di pub in una veste più attuale. Per un nuovo progetto due dei soci, Marco Mascherini e Claudio Lattanzi, si schierano insieme a Valentina Lattanzi e alla chef Marta Maffucci.  A lei il compito di dirigere la cucina di Misticanza, la nuova proposta vegetariana (ha aperto il 4 febbraio 2020) che ha visto la luce a qualche centinaio di metri dal primo locale.

Marta ha lavorato per 7 anni in cucina da Hopificio, facendo i conti con flussi di persone enormi, una scuola importante che l’ha trasformata da autodidatta a cuoca. Vegetariana da 11 anni, racconta della difficoltà nei primi anni di trovare qualcosa di decente da mangiare fuori casa, che non fossero tristi insalate e spaghetti al pomodoro, i piatti che di solito si leggono nel “menu bimbi”. La sua filosofia di cucina convince anche Marco e gli altri soci a investire sul progetto di un ristorante vegetariano moderno, dove mangiare una proposta di livello prevalentemente a base vegetale, di gusto e non banale. Sicuramente diversa dalla visione di certi vegetariani che si arrangiano con buffet di verdure e piatti poco creativi.

“Sono rimasto davvero stupito durante un viaggio in California. Eravamo seduti al Greens Restaurant di San Francisco e, a parte notare la quantità di coperti e clienti, mi ha colpito la soddisfazione che mi aveva dato quell’esperienza e mi sono chiesto perché in Italia fossimo così indietro” dice Marco. In questo senso l’approccio alla cucina vegetariana non è quello di una cucina tipica (il cinese, il giapponese, e poi il vegetariano), ma di un “tema gastronomico” quello delle verdure, che non dovrebbe mai mancare su una tavola italiana.

Con queste premesse, Marta studia un menu con diversi piatti che non sono sostitutivi, ovvero piatti della tradizione epurati di carne e pesce, ma ricette che hanno una loro identità e si ispirano alle stagioni dell’orto. “Forse dietro c’è che amo davvero pensare che qualcuno torni a casa soddisfatto per qualcosa che ho preparato io. Mi piace l’idea di aver cucinato per qualcuno”.

Ne viene fuori un menu molto colorato e al giusto prezzo: tra gli antipasti il Flan di barbabietola, yogurt greco, gel di lime, maggiorana e capperi essiccati (7 euro), per i primi i Cappellacci fatti in casa con brodo di funghi e parmigiana (10 euro), il Risotto, cavolfiore arrosto, Castelmagno e polvere di caffè (12 euro), gli Gnocchi di patate con genovese di cipolle, parmigiano stagionato 36 mesi e polvere di limone nero (9 euro), lo Spaghettone “Benedetto Cavalieri”, aglio nero, peperoncino e pangrattato ai pomodori secchi (in foto, 11 euro).

Tra i secondi la Millefoglie di verza (10 euro), il Tortino di formaggio di malga e erbe (11 euro), e due variazioni del seitan, rigorosamente fatto in casa con farina di kamut e manitoba, un lungo procedimento che richiede tre giorni di preparazione, sia alla cacciatora (13 euro) che con indivia arrosto e jus di verdure (sempre 13 euro). Completano 4 dolci tra i 6 e i 7 euro. La carta dei vini è stata studiata dal sommelier Marco Brandoni dell’Enoteca Lucantoni, che sceglie una serie di voci biologiche o selezionate da produttori fidati.

Le verdure vengono dalla Sabina, la pasta si fa in casa, come il pane che viene servito al tavolo appena ci si siede insieme al burro di Fattorie Fiandino in Piemonte, una referenza chiave perché fornisce anche il tagliere di formaggi a caglio vegetale (13 euro), ovvero una selezione di formaggi prodotti con caglio vegetale ottenuto dal fiore del cardo. Un’attenzione in più per i vegetariani più scrupolosi.

Il locale ha aperto il 4 febbraio, i metri quadrati sono 130, i coperti circa 40. L’architettura è molto semplice ed ispirata alla natura. Il confronto con il pubblico è da subito schizofrenico: c’è l’entusiasmo di chi aspettava una novità in questo senso, c’è chi “gastronomicamente” è rimasto alla cucina degli anni ’80. “Ah, ma quindi la pasta la mangiate?”, “Però il prosciutto c’è?”, “Ah vegetariano, che peccato”. Sembra assurdo, ma l’ignoranza sul tema è ancora molto diffusa, come raccontano scherzando Marta e Marco, che da queste risposte sembrano più sfidati che preoccupati. Nella città delle carbonare c’è chi tende a confondere questa cucina con qualche strana tendenza culinaria venuta da lontano. “Da qui”, dice Marco, “il sottotitolo Osteria dalla Terra, che ci serviva a far capire quello che facciamo cercando di avvicinare con facilità le persone”.

Una piccola curiosità. Qui nessuno voleva tovaglie e nemmeno tovagliette. Per questo sul tavolo ci sono delle belle posate che grazie a una curva non toccano il tavolo.

Foto di Giorgia Magliocchetti e Gianmarco Spinelli

Misticanza, Osteria dalla Terra. Via Cesare Baronio 179, Roma. Facebook