Perdere le stelle, vietare il terzo bicchiere, sovranizzare il pinot grigio – Er Murena in punta di forcone

Il sovranismo del “vero” pinot grigio”

Di “sovranisti” non se ne può più. Di loro, ma anche della parola, che dilaga come la gramigna. Fermiamoci un attimo: non c’è un eco tra il moderno e destrorso  e le nostalgie passatiste del tradizionalismo di sinistra a chilometro zero? Salvini come Petrini? Comunque sia, il termine gramigna ben si presta a descrivere quel che avviene nel mondo del vino. Qualche tempo fa è entrata in vigore una legge lombarda che prescrive nella carta dei vini degli agriturismi regionali solo vino padano. E’ un niente passare dalla valorizzazione del proprio territorio alla demonizzazione o alla cancellazione degli altri. A volte è un vantaggio non solo politico ma anche commerciale. Come racconta bene questo bell’articolo su Intravino, sul caso pinot grigio. Vitigno diffuso in diversi paesi, dalla Germania alla Francia fino all’Italia. Le ragioni del commercio spesso si imbastiscono su fondamenta ideologiche. E’ uscito un vino in Germania che millanta in etichetta la dizione: “Real Grauburgunder“, ovvero “Il vero pinot grigio”. Con una violenza verbal piuttosto impressionante. C’è scritto: “Pinot grigio? Pinot gris? (cancellati da un tratto) Bullshit”. Nel senso di cazzate. E poi “Drink a real Grauburgunder”. Come se ci fosse davvero un “vero” e unico pinot grigio. Come se ci fosse un pinot grigio “ariano” e dunque autentico. Sciocchezze, naturalmente. Ma i sovranismi ideologici sono ottimi portainnesti commerciali per tutelare i mercati nazionali.
Prima la Germania. Prima il pinot grigio tedesco. Ricorda qualcosa?

Perdere le Stelle (e le staffe)

Lo chef Marc Veyrat ha perso una stella e anche le staffe. Declassato dalla Michelin, ha deciso di rinunciare polemicamente anche alle due stelle rimaste. Dice che gli esperti della guida sono “dilettanti” e impostori”. Dice di essere depresso da sei mesi. Dice: tirate fuori gli scontrini. Dice: “Come osate prendere in ostaggio la salute dei vostri cuochi”. Antico problema, che riguarda tutti in proporzioni diverse, dalla stellata Michelin alla vostra umile Puntarella Rossa. Dare giudizi è un compito complesso, eticamente sensibile. Bisogna essere seri. Non prendere denaro e favori dai ristoratori. Resistere alle lusinghe. Resistere alle amicizie. Resistere, e questo è ancora più difficile, alle inimicizie, che ti spingerebbero a stroncare strumentalmente. Essere competenti, non solo nel food, ma anche nella storia, nella politica, nel design. Avere una visione d’insieme. Saper valutare domanda e offerta. Avere una cultura di base, non solo in ambito enogastronomico. Avere continenza. Rispetto per chi lavora. Rispetto, ancora di più, per i potenziali clienti.
Lato ristoratori, è normale indignarsi per sciatterie, ingiustizie vere e presunte. Bisognerebbe dare il giusto valore ai giudizi e alle guide. Giudizi transitori, soggettivi, aleatori. Utili per orientarsi, ma mai sicuramente veri e mai sicuramente falsi. E comunque soggetti all’usura del tempo. E condizionati da mille fattori. Dovrebbero saperlo i ristoratori e dovrebbero saperlo i clienti. Ma poi ci sono i soldi. Gli articoli di Puntarella spostano clienti e denaro. In misura enormemente più grande, lo fanno le stelle della Michelin. E ci sta incazzarsi se un critico distratto o ignorante ti toglie una stella e qualche centinaia di migliaia di euro di utili. Ci sta meno deprimersi, accusare di aver perso la salute. E’ comprensibile, ma pericoloso. Porta a entrare in dimensioni psicologiche che hanno prodotto drammi. Come i suicidi di tanti chef, stressati dal lavoro, dalla fama e dai riconoscimenti che vanno e vengono. Certo, in un mondo in cui Tripadvisor, la “gente” comune e un buon numero di bot e sistemi che deformano i giudizi, determinano il successo di un locale, viene da pensare come ci si possa difendere. Con chi te la prendi se ti tolgono la quinta palla di Trip, a furia di giudizi insensati, scritti da chi frequenta solo bettole e non distingue un tonno da uno sgombro?

La sbornia triste di Centocelle

C’è questa vineria a Centocelle che ti vieta il terzo bicchiere e il cellulare. Lo racconta Repubblica, nelle pagine locali. I titolari di Vitis Vinifera dicono di non poterne più di giovani coppie che entrano e affondano la testa nello smartphone, invece di parlarsi. Per gustare il vino, dicono, bisogna avere la menta libera. E poi vogliono essere “il presidio della gestione responsabile dell’alcol”. Per questo c’è il cartello che dice: “Per favore non chiedete il terzo bicchiere”.
Non so voi, ma a me mette una tristezza sconsolata. Neanche una sbornia triste mi potrebbe rendere così triste. Ho deciso, resto a casa, mi metto in mutande, mi scolo una boccia di Barbera e chatto tutta la notte su Tinder.

* disclaimer, l’alcol fa male se non bevuto con moderazione e chi guida ubriaco è un criminale e uno stronzo. Non provate a imitare questo post (soprattutto per Tinder). Il contenuto è ironico e paradossale, passo e chiudo (ormai son più lunghi i disclaimer dei post, che tempi)

Un vino da provare

Ho provato un vino splendido, emozionante. Mi emoziono sempre quando bevo un vino splendido. Tra l’altro non prendo un euro da loro. Pensa che cretino. Potrei dar mandato a una bella gnocca (pardon, influencer) di fare una foto su Instagram e guadagnarci qualche boccia. E invece niente. Preferisco regalarvelo, così se non vi piace non mi sento in colpa. Il produttore si chiama Francesco Guccione. E’ siciliano, ben noto tra gli appassionati. Vi consiglio Trebbiano e Catarratto, anche in blend. Fatemi sapere.