Bros Lecce, uno spettacolo di ristorante con due giovani di talento

Bros Lecce. Succede che stai cercando Bros, nelle viuzze del centro di Lecce, e ti imbatti in un signore che ti rimprovera: “Cosa fa, passa oltre e non si ferma?”. Oltre, intende, il teatro romano, di cui ti spiega i tre gradoni (“erano per i vip” e le scanalature (“servivano per fare andare avanti e indietro il deus ex machina”). Poi, il signore, ti rapisce, ti recita una poesia filosofica e ti porta in un’enoteca lì di fianco, la Picchi Nocco, dove ti spiegano tutto del Primitivo e scuotono la testa di fronte all’Es di Gianfranco Fino, che abbiamo incautamente citato. Alla fine, frastornati, ci fermiamo all’ottimo Quanto Basta, per un cocktail d’aperitivo, e finalmente raggiungiamo Bros.

Quale miglior prologo per l’esperienza gastronomica che ci attende. Uno spettacolo di ristorante, come recita il titolo del post. Spettacolo nel senso di un ristorante con una cucina ottima, elaborata, convincente, ma anche nel senso di un ristorante dove la cucina è spettacolo, messa in scena, incanto.

 A far da prestigiatori, in cucina (ma anche in sala), ci sono due giovanissimi: uno dei tre Bros (fratelli) rimasti, Floriano Pellegrino (28 anni) e Isabella Potì, anche lei under 30 (gli stessi che, per inciso, ci hanno consigliato i ristoranti del Salento qui).

A spezzare l’incanto iniziale, un’improvvida aria condizionata, che pompa aria gelida proprio sul nostro tavolo, nella saletta piccola (ce n’è una più grande). Dopo qualche contrattazione, riusciamo a diminuire l’impatto. Ma solo una bottiglia di Torre Nova di Natalino Del Prete (ahimè, qui non si sa fino a quanto) riuscirà davvero a mitigare il gelo, insieme alle prime portate.

Lo spettacolo comincia con il menu: compatto ma vario, invitante, originale (e i prezzi, sì, non sono da osteria, ma lo sapevamo e questa non è un’osteria).

Arrivano gli amuse bouche, giusto per cominciare a capirsi.

E poi arriva questa meraviglia. Una pagnotta fatta con lievito madre e farina Senatore Cappelli. Dell’olio Coratina, dell’ottimo Muraglia, rappreso. E un incredibile maialino di lardo. Che siamo costretti a deturpare, spalmandolo avidamente sulla pagnotta.

Si comincia a fare sul serio con questo Cucumarazzu, caviale e latticello rancido (22 euro). Trattasi di antico ortaggio pugliese, che possiamo assimilare al cetriolo. L’abbinamento funziona e si va avanti.

Le linguine (24 euro) sono spettacolo. C’è il pistacchio. E c’è il liquamen. Ci sarebbe da spaventarsi, a sentirne il nome, non solo perché anche in italiano liquame non è proprio allettante, ma perché si riferisce all’antico liquamen romano, che altro non era che il liquido di colatura di pesce che veniva lasciato a fermentare (a marcire, diremmo noi) per molti giorni (il garum). Beh, ovviamente, qui siamo in un altro pianeta. Perché gli chef hanno sperimentato questa colatura di sardine, salmastra, insieme al latte di pistacchio, che è dolce. A dare freschezza, una spolverata di pepe giapponese sansho. Che dire? Superbo.

Eccoci all’anatra (35 euro), con cipolla caramellata e ‘ranu stumpato, ovvero un tipo di grano pugliese pestato al mortaio. La carne arriva dalla Normandia. Buona, ma non è il piatto più convincente.

Spettacolare invece la carne di quaglia (33 euro), con melanzana e fagiolo fermentato.

E mentre osserviamo al tavolo vicino un cameriere che cosparge una fitta nebbia di azoto sul bicchiere di una commensale attonita, ci arrivano due piatti non previsti. Queste sono le alette di quaglie, “perché della quaglia, come del maiale, non buttiamo via niente”.

Ed ecco anche la carcassa della quaglia, adagiata su una salsa densa e saporita.

Isabella, al tavolo accanto, manovra con grazia una piccola “accetta” su un ananas laccato.

Noi passiamo all’uovo Fucking Cold (9 euro), dannatamente freddo, ricetta del 2013: non è un uovo (a parte il contenitore), ma una salsa mou con tuorlo marinato, biscotti, limone e spuma di latte e vaniglia. Decisamente spiazzante.

Siamo alla fine. Il buon Natalino del Prete è andato giù che è una bellezza. L’aria condizionata è un ricordo (ancora soffia gelida, ma chi ci pensa più). Floriano e Isabella passano per qualche tavolo. Non al nostro, ahimè, che l’anonimato ha questi inconvenienti. E tra gli inconvenienti c’è anche il conto, che non definiremmo salato, anche se lo sarà per chi non è abituato al genere, ma si potrebbe definire piuttosto “umami“. Saporito (volendo c’è però un menu degustazione da 5 portate a 70 euro o uno da 15 a 135 euro).

Salutiamo, con il sorriso di chi ha goduto. Snobbiamo l’ultima portata (chi diavolo ha inventato gli orridi marshmallow?), facciamo finta di non vedere il discutibile motto “l’essenziale è visibile al gusto”  e ci portiamo via da Lecce una cena speciale.

Ma soprattutto, all’idea di dover tornare a Roma, ci viene il magone e lo sublimiamo con la rielaborazione artistica di Bros e Love che vedete qui sopra.

Bros, via Acaja 2 Lecce. Tel 0832092601. Sito

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