
Alberto Quadrio lascia il Portrait di Milano, alta tensione nel fine dining. Era diventato famoso, oltre il giro dei fanatici di chef gourmet, lanciando nel nuovo menu del ristorante 10_11 al Portrait di Milano la pasta in bianco, con il provocatorio prezzo di 26 euro. Un po’ per épater le bourgeois (scandalizzare i borghesi, come si diceva una volta), un po’ per rivendicare il diritto di commisurare il prezzo di un piatto non tanto e non solo, come si fa sbagliando, ai prezzi delle materie prime, ma piuttosto all’abilità dello chef, al suo estro e alla capacità di creare un piatto speciale. Comunque, un successo mediatico, durato come una bolla di sapone, che lo stesso Quadrio ha voluto rompere con una rapidità sconcertante. Il tutto in una città dove gli chef artisti, come ci ha raccontato Paolo Manfredi, provocano sempre più insofferenza.
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Alberto Quadrio lascia il Portrait di Milano
Già, Quadrio, classe 1990, se n’è andato dal ristorante del polo alberghiero di lusso targato Ferragamo, Lungarno Collection. Non è la prima volta che taglia la corda precipitosamente, l’aveva già fatto andandosene dalle cucine Nervi di Gattinara, a sei mesi dall’arrivo. Se lo può permettere, o pensa di potere, visto il curriculum: ha lavorato al Marchesino di Gualtiero Marchesi, da Yoshihiro Narisawa a Tokyo, da Oriol Castro a Barcellona, da Rasmus Kofoed al Geranium di Copenaghen, da Pietro Leemann, Andrea Migliaccio, Andrea Torretta, Norbert Niederkofler e Alain Ducasse.
Al Portrait era arrivato con il progetto di bistrot 10_11 (Ten Eleven), che poi sarebbe dovuto sfociare in un ristorante fine dining, nel senso del gourmet costoso. Il comunicato con il quale l’hotel “saluta” Quadrio è chiarissimo e piuttosto raggelante. Eccolo
“Alberto Quadrio non è più l’executive chef del ristorante 10_11 Bar Giardino Ristorante – conferma la proprietà nella nota ufficiale – Il 10_11 Bar Giardino Ristorante, con il suo format rilassato di casual dining che vede la cucina italiana più semplice, buona ed autentica protagonista della sua offerta gastronomica – si legge nella nota – è stato accolto con grande entusiasmo dalla città di Milano e dai suoi visitatori che ogni giorno ci cercano e apprezzano la nostra cucina. È per questo che al momento, l’inserimento nella nostra proposta di un format gastronomico di fine-dining non rientra tra i nostri obiettivi a breve e medio termine. Le ambizioni e i desideri di Alberto Quadrio vanno in un’altra direzione e per questo le nostre strade si separano. Ringraziamo Alberto per la sua dedizione e il suo contributo in questi mesi e gli auguriamo il meglio per le nuove avventure che lo aspettano”.
In sostanza, Quadrio si è stufato. Voleva un ristorantone fine dining, dove mettersi alla prova, lanciarsi magari alla conquista di un pugno di stelle Michelin. Ma la proprietà non ci credeva. Ha pensato che non fosse la direzione giusta, meglio il “casual dining“, qualunque cosa sia, lasciamo andare il ragazzo con le sue “ambizioni e desideri”. E del resto accade più spesso. Grandi chef o chef che si sentono grandi, che entrano in una cucina e alzano i prezzi, i consumi, la qualità della materia prima. I costi esplodono, la proprietà suda, i conti non tornano più. E a quel punto sbottano: troppo facile fare i grandi chef con i soldi degli altri. E così scattano liti, separazioni, addii per nulla amichevoli.
Forse il fine dining, la cucina raffinata, alta, formale, costosissima per la proprietà e i clienti, va verso l’esaurimento della sua stagione. O comunque verso un restringimento dei suoi spazi. Tornerà a rappresentare quella nicchia di mercato che le spetta e di cui ha bisogno, perché è anche in queste cucine che si porta avanti la sperimentazione e si lanciano nuove sfide. A patto di non pensare che l’alta cucina sia una variabile indipendente dai costi e soprattutto dai clienti.
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