Ristoranti e MeToo, cosa pensare della polemica del Domani su Michelin e Pinchiorri

Ristoranti e MeToo, cosa pensare della polemica su Michelin e Pinchiorri.

Succede questo, che Giorgio Pinchiorri,  titolare e sommelier dell’Enoteca Pinchiorri di Firenze ha patteggiato a ottobre una condanna di quattro mesi per stalking nei confronti di una ragazza, ex dipendente del ristorante. Poi, pochi giorni fa, esce la guida Michelin. Che, come se niente fosse, assegna tre stelle all’enoteca Pinchiorri. Prendendo spunto da questo episodio, Sonia Ricci sul Domani (oggi sul quotidiano è uscito un interessante speciale enogastronomico) contesta il fatto che le guide “ignorino chi molesta in cucina“, come da titolo. Segue dibattito e polemica, per niente oziosa. Anzi, una discussione feconda, che va inquadrata in una cornice più ampia.

La domanda precisa, dunque, sarebbe questa: le guide devono prendere in considerazione solo i criteri gastronomici – cucina, sala, materie prime – oppure non possono ignorare anche altri elementi, come le molestie, e non solo? Il MeToo deve irrompere anche nelle cucine italiane, tradizionalmente molto maschili e poco rispettose delle poche donne che ci hanno messo piede in posizioni alte? Oppure non ha alcun senso estendere il giudizio a questioni morali, politiche e giudiziarie che esulano dai predetti fattori?

La risposta non è facile. Perché poi ci sono le molestie, come in ogni ambiente di lavoro, ma c’è anche lo sfruttamento dei lavoratori e c’è la criminalità nelle proprietà, di cui ha scritto spesso Valerio M. Visintin. Dopo aver parlato del caso Pinchiorri, scrive Ricci: “A luglio scorso, dopo una serie di abusi registrati nel Regno Unito, il sindacato degli chef britannici, The National Chefs Union, ha lanciato una petizione per chiedere di togliere il premio ai ristoranti dove si registrano condizioni di lavoro pessime, segno che il problema è sentito dagli stessi cuochi. Eppure, al momento, nessun locale ha perso la stella per questi motivi. I meccanismi di giudizio della Michelin rimangono riservatissimi, così come l’identità degli ispettori distribuiti in oltre 30 Paesi”. Conclusione: “La guida rossa rimane punto di riferimento per l’alta ristorazione, si continuerà a consultarla e a mangiare nei ristoranti che consiglia, ma forse è il momento di aprire un dibattito in un mondo che troppo spesso racconta solo i suoi aspetti positivi e che, come in questo caso, va avanti come se non fosse successo nulla ignorando quelli negativi”.

Sui social si è sviluppato il dibattito ed è intervenuto Massimiliano Tonelli, ex responsabile magazine del Gambero Rosso, che è della tesi radicalmente opposta: “Eliminare soggetti da una guida per motivi esogeni alla guida stessa non è una punizione per i soggetti eliminati, è una penalizzazione per i lettori che si trovano un prodotto incompleto. Significa davvero non capire il ruolo delle guide che non sono pamphlet su un quotidiano d’opinione ma strumenti editoriali di servizio. E poi vale solo per le molestie? Gli evasori li lasciamo? Chi non paga correttamente i collaboratori? Chi ha debiti spaventosi verso i fornitori? Chi non richiede furbescamente il greenpass e ha mezza struttura non a norma mettendo a rischio la vita dei lavoratori e dei clienti? Chi rimane? Forse non rimangono neppure coloro che si esercitano nella facilissima arte di fare i duri e puri additando il prossimo per sentirsi migliori”.

Chiara Cavalleris, su Dissapore, sottolinea i silenzi e le risposte delle tre guide principali: “Tutte e tre guidate da uomini“. E aggiunge che “ci sono tanti pezzi sul chilometro 0 e sull’oste sorridente, ma ben pochi sui brutti fatti accaduti a donne in brigata”.

Difficile trovare una risposta equilibrata. Perché è vero che le guide fanno un altro mestiere. Raccontano il cibo, la sala, la cucina, l’ambiente. La magistratura fa il suo mestiere. Condanna se c’è da condannare. La politica e il giornalismo libero fanno lo stesso. Raccontano e si interrogano. Ma è anche vero che per esempio noi, nel nostro piccolo, non abbiamo mai taciuto questi aspetti. Che restano rilevanti nella scelta di un ristorante. A suo tempo ci scagliammo contro chi non rilasciava lo scontrino fiscale e ne facemmo una campagna vera e propria. Ci scagliammo contro Bressan,  un grande produttore molto razzista che ci ha fatto di molto diminuire la voglia di ordinare un suo vino. Abbiamo segnalato alcuni ristoranti che non chiedono il green pass. Abbiamo eliminato dal sito i ristoranti sospetti di infiltrazioni mafiose e che sappiamo non avere un atteggiamento equo nei confronti dei dipendenti. Abbiamo bacchettato più volte lo chef star maschilista Gianfranco Vissani.

Non è moralismo, fa parte del giudizio che diamo di un locale. Ci interessa il cotechino, ci piace la gentilezza del cameriere, adoriamo i vini della cantina, ma ci interessa anche sapere se dietro la cucina sfruttano i lavoratori in nero, se molestano le ragazze, se fanno affari con la criminalità. Nella valutazione di un ristorante, di un locale, per noi entrano anche questi fattori. Spesso sono soggettivi e talvolta il metoo ha massacrato carriere in modo inaccettabile (vedi Woody Allen e diversi altri). Ma ognuno si prende la responsabilità dei suoi giudizi e delle sue valutazioni. E anche dei suoi silenzi.