Distanziamento. Lo spazio per ogni cliente nei ristoranti deve più che triplicare passando da 1,2 metri a quattro mentre dovrà essere eliminato il servizio a buffet. Il layout dei locali di ristorazione – si legge – andrebbe rivisto garantendo il distanziamento fra i tavoli – anche in considerazione dello spazio di movimento del personale – non inferiore a 2 metri e garantendo comunque tra i clienti durante il pasto (che necessariamente avviene senza mascherina), una distanza in grado di evitare la trasmissione di droplets e per contatto tra persone, anche inclusa la trasmissione indiretta tramite stoviglie, posaterie. Va definito un limite massimo di capienza predeterminato, prevedendo uno spazio che di norma dovrebbe essere non inferiore a 4 metri quadrati per ciascun cliente, fatto salvo la possibilità di adozioni di misure organizzative come, ad esempio, le barriere divisorie.
Turni e prenotazione. “La turnazione nel servizio in maniera innovativa e con prenotazione preferibilmente obbligatoria può essere uno strumento organizzativo utile anche al fine della sostenibilità e della prevenzione di assembramenti di persone in attesa fuori dal locale”.
No buffet. Vanno eliminati – si legge ancora – modalità di servizio a buffet o similari.
Menu. È opportuno utilizzare format di presentazione del menu alternativi rispetto ai tradizionali (ad esempio menu scritti su lavagne, consultabili via app e siti, menu del giorno stampati su fogli monouso.
Mascherine. I clienti dovranno indossare la mascherina in attività propedeutiche o successive al pasto al tavolo (esempio pagamento cassa, spostamenti, utilizzo servizi igienici).
Pagamenti. È opportuno privilegiare i pagamenti elettronici con contactless e possibilità di barriere separatorie nella zona cassa, ove sia necessaria.
Le reazioni. Rispettare lo spazio di 4 metri quadrati per cliente nei ristoranti significa “perdere il 60% dei coperti”, spiega Roberto Calugi, direttore generale Fipe, la federazione che rappresenta 120mila aziende del settore ristorazione. “Così
si uccide la ristorazione e si condanna all’implosione un settore che prima della crisi aveva un giro d’affari di 90 miliardi di euro e ne ha già persi 34”.
Incalza il presidente di Fiepet Confesercenti Giancarlo Banchieri: “La dimensione media di un ristorante, in Italia, è di 80 metri quadrati. Secondo le linee guida, una capienza sufficiente per appena 20 persone”, commenta . “Si tratta chiaramente di una condizione antieconomica, che impedisce di riavviare l’attività a meno di non raddoppiare i prezzi attuali: ma anche questo ci porterebbe alla chiusura. Al danno si aggiunge poi la beffa: non ci sono le condizioni per riaprire, ma non si può licenziare. Una situazione insostenibile”.
E infatti a Roma si preannuncia un vero e proprio blackout: in 400 tra bar e ristoranti del centro e delle zone della movida il 18 maggio non riapriranno. “A queste condizioni non è possibile”, dice Gianfranco Contini, titolare di un ristorante del centro storico e tra i promotori del movimento “La voce dei locali di Roma” a cui aderisco circa 400 aziende, principalmente ristoranti e bar. “Una piccola percentuale continuerà a lavorare da asporto – spiega – Sicuramente il centro storico rimarrà ‘chiuso’ perché oltre a ristoranti e bar, anche alberghi e molti negozi non apriranno”. “Le normative dell’Inail sono inapplicabili per il 90% locali tradizionali. Le sanificazioni le facevamo anche prima, tutti i giorni, ma non è possibile il distanziamento, non si può lavorare con piatti, posate e bicchieri di carta, né far servire ai tavoli dai camerieri con guanti e mascherine. La ristorazione è altro, non è solo mangiare: è il piacere di stare insieme, di godersi l’atmosfera. A queste condizioni non è possibile aprire. Preferiamo aspettare qualche settimana o anche mese in più che le condizioni sanitarie cambino, ma vorremmo aprire con minimo di normalità. Altrimenti non ha senso”, conclude.