
Vin méthode Nature, in Francia hanno dato una definizione giuridica ai vini naturali. Quello che non si è riuscito, o meglio voluto, fare in Italia, dare una definizione giuridica, con tanto di parametri ed etichetta, ai vini naturali, si è fatto in Francia. Che come insegna la storia, ha sempre anticipato i tempi in fatto di regole e sistema. E allora la notizia è che 65 produttori hanno aderito alla proposta del Syndicat de défense du vin naturel, che hanno ottenuto la validazione della definizione di vino naturale, con tanto di etichetta, dalla Direzione generale della concorrenza, del consumo e della repressione frodi (DGCCRF) e dal ministero dell’Agricoltura. Non proprio “vino naturale”, visto che la Ue lo vieta, ma con il compromesso di “vino metodo naturale” In realtà si tratta ancora di una definizione “privata“, anche se è stata sottoposta all’esame dell’Inao, l’istituto che si occupa delle denominazioni protette.
Ma cosa dice questa definizione, ideata dal Sindacato di difesa dei vini naturali, presieduta dal vigneron Jacques Carroget? E’ una carta in dodici punti, seguita da un protocollo di controllo. Si può definire naturale un vino che viene fatto da uve biologiche vendemmiate a mano, con lieviti indigeni, senza additivi e tecniche enologiche correttive “brutali” (come la filtrazione, la pastorizzazione flash, l’osmosi inversa). Per quanto riguarda l’annosa questione dei solfiti, la carta viene qualunque “solfito aggiunto prima e durante la fermentazione”, ammettendo un massimo di 30 mg. di solforosa solo prima dell’imbottigliamento. Le due tipologie avranno due etichette diverse: una con la specifica “senza solfiti aggiunti“, l’altra con “<30 mg di solfiti aggiunti>.
E i controlli? Non paiono particolarmente stringenti. Spiega Carroget che 3 cantine saranno estratte a sorte ogni anno e controllate, in particolare per verificare la tracciabilità e la quantità di solfiti aggiunti.
Per Carroget, è stato necessario intraprendere questo percorso, perché “gente senza vergogna ha usato la parola naturale per mettere in vendita prodotti che nulla hanno a che fare con la nostra visione del vino”.
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