Giulia Innocenzi e gli allevamenti intensivi: “Al Kino vi spiego perché dovremmo diventare tutti vegani”

Giulia Innocenzi, gli allevamenti intensivi di animali e l’aperitivo vegano al KinoManca poco ormai all’aperitivo da noi organizzato al Kino mercoledì 18 alle 20. Il tema della serata sarà il problema degli allevamenti intensivi, con proiezione del film-documentario “Cowspiracy”, prodotto da Leonardo di Caprio. Il tutto accompagnato da aperitivo e cena rigorosamente vegani e un’ospite d’eccezione: la giornalista Giulia Innocenzi, impegnata da tempo in inchieste sulle brutali condizioni degli animali negli allevamenti intensivi.

 

Dopo il video-shock di Announo “Dentro la carne”, nell’ultimo anno ti sei dedicata molto al tema degli allevamenti intensivi e hai parlato di un grande progetto a cui stai lavorando, che vedrà la luce prossimamente. Cosa sarà di preciso?

“Una serie tv incentrata su allevamenti intensivi e macelli per far vedere agli italiani quanto sia elevato il costo del loro piatto in termini di sofferenza. E’ un progetto ambizioso. Il mio obiettivo è sfatare un mito: Il made in Italy della carne come settore di eccellenza. In realtà, infatti, ci sono controlli lacunosi e corruzione. Lo dimostrerò facendo vedere le condizioni degli animali. Quella che mostrerò è una delle realtà più chiuse e celate all’occhio mediatico e il mio obiettivo è aprire, rendere pubblica questa realtà. Video come quello che abbiamo mandato in onda su Announo aiutano a smuovere le istituzioni, tant’è che la ministra Lorenzin dovette intervenire in diretta dicendo di aver già mandato ispezioni per una situazione completamente illegale. E’ troppo facile però dire che sono casi isolati. L’allevamento intensivo è la legalizzazione del maltrattamento degli animali. Vi è la completa negazione delle condizioni etologiche dell’animale e dell’espressione della sua natura. Un sistema di sofferenza e di tortura legalizzato insomma”. 

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Da quanti anni sei vegana? Sei stata vegetariana prima di diventarlo?

“In realtà sono vegetariana, scelta che ho abbracciato ormai da tre anni e mezzo. A casa poi, mi permetto di essere vegana. Essendo sempre in giro, è complicato trovare ovunque posti che offrano alimenti privi di ingredienti di derivazione animale”.

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Cosa ne pensi dell’offerta ristorativa vegana in Italia?

“C’è grande differenza tra Nord e Sud. Proprio per questo mio ultimo lavoro a cui mi sto dedicando mi sono trovata spesso in Pianura Padana. Devo dire che lì c’è grande sensibilità per questi temi. Brescia, ad esempio, è una realtà dove ci sono tantissimi ristoranti vegani anche dove proprio non te l’aspetti. D’altronde c’è una coscienza animalista forte nel bresciano, costruitasi dopo i fatti di Green Hill. Ma si sta diffondendo consapevolezza un po’ ovunque. L’Italia sta registrando il più alto tasso di crescita nell’offerta di prodotti vegan nei supermercati. E’ ovvio che l’economia segua la nuova consapevolezza dei consumatori”.

In diverse occasioni hai detto che “Se niente importa” di Foer è stata la scintilla che ti ha fatto cambiare stile di vita. Qual è stato invece tra tutti, il maltrattamento che più ti ha scioccato?

“In generale mi inorridisce la totale supremazia della questione economica su quella etica e animale. Nell’industria degli allevamenti tutto quello che non dà profitto viene considerato uno scarto. La vacca che non fa più abbastanza latte può andare al macello. E’ una cosa che mi colpisce nel profondo. Non riesco a credere che la vita possa dipendere da una questione di spiccioli. Ed è proprio il non accettare questo, che mi spinge a non sostenere, in primis economicamente, una barbarie del genere”.

Un libro o un film che consiglieresti ad un amico onnivoro a fargli cambiare idea?

“Sicuramente quello di Foer, ma anche “Liberazione Animale” di Peter Singer, autentica pietra miliare dal punto di vista filosofico. C’è poi “Farmageddon” di Philip Lymbery, un viaggio negli allevamenti intensivi, che focalizza la sua attenzione sulle conseguenze ambientali e salutari a livello globale. Ora sto leggendo “The Food Revolution”, che analizza ogni singolo aspetto a vantaggio di questa scelta, partendo da quelli per la salute. Molti vegani infatti sono spinti da motivazioni di tipo etico, ma altrettanti sono toccati prima di tutto dalle questione di salute. Le proteine di origine animale non fanno bene, come hanno dimostrato diversi studi, non solo quello dell’Oms. Per quanto riguarda i film, “Cowspiracy”, il lavoro di Di Caprio, che vedremo insieme mercoledì sera, rappresenta un prezioso excursus sulle conseguenze ambientali degli allevamenti, raccontandole come nessuno ha mai fatto prima. Gli allevamenti costituiscono il primo settore produttore di gas causanti l’effetto serra ancor più dei combustibili fossili. E nessuno ne parla”.

Una lobby della carne più forte di quella del petrolio?

“La lobby della carne è fortissima e lo è soprattutto perché detiene una grossissima fetta di pubblicità. In qualsiasi media puoi trovare pubblicità di prosciutti, carne, formaggi, e questa, di fatto, rappresenta la prima vera censura su questo tema. E’ innanzitutto una questione economica. Se qualcuno fa grandi inchieste, l’industria della carne minaccia di ritirare la pubblicità. Anche per questo finora non è stato raccontato nulla”.

Tra i motivi che spingono ad abbracciare la filosofia vegan, quanto c’è dell’ossessione per la linea e il cibo salutare e quanto della questione etica inerente alle condizioni degli animali?

“Prima di tutto c’è la questione etica. In diversi sondaggi proposti da Eurispes su questo tema, è emerso come in Italia oltre il 90% dei consumatori voglia sapere cosa c’è dentro gli allevamenti. Mentre la metà sarebbe disposta a pagare di più in cambio di condizioni più dignitose per gli animali. Per fortuna c’è sempre più consapevolezza. Prodotti come “Cowspiracy” aiutano a diffonderla. “La fame” di Caparros dimostra come la carne sia un simbolo di diseguaglianza nelle distribuzione delle risorse. Un terzo di tutte le coltivazioni sono destinate agli animali di allevamento. Uno squilibrio del tutto insostenibile. Poi è chiaro che anche il corpo ne risente positivamente. Personalmente mi sento meglio fisicamente e sono anche dimagrita. Sicuramente la salute fa il suo”.

Quanto sono stati importanti i social network nel creare reti e comunità vegan?

“Fondamentali. Tv e giornali fanno poca informazione: chi aveva un certo tipo di sensibilità andava su internet e Youtube. La capacità di Facebook nel creare comunità basate sulle stesse scelte alimentari, lo stesso stile di vita e le stesse idee è stata importantissima. Si sono creati gruppi per mamme vegane che spesso incontrano medici ignoranti riguardo nutrizione e scelte alimentari e ciò ha permesso di confrontarsi e aiutarsi fra di loro”.

Non pensi che il fondamentalismo e le visioni particolarmente radicali che spesso trovano spazio tra i vegani, possano andare contro lo stesso movimento?

“Il radicalismo non aiuta nessun tipo di battaglia, quindi neanche la battaglia vegan. Anzi, nel nostro caso è ancora più nocivo. Nessuno vuole sentirsi chiamare “mangiacadaveri”. Ma soprattutto chi oggi è vegano, nella stragrande maggioranza dei casi, ha vissuto parte della sua vita come “mangiacadaveri”, quindi non ha molto senso. Spesso si fa questa scelta dopo un lungo percorso attraverso consapevolezza e informazione, proprio per questo da parte nostra ci vuole maggior apertura. Sicuramente, le frange più estreme non portano un aiuto alla causa. Piuttosto occorrono voglia di argomentare e tanta informazione per costruire una consapevolezza nel sapere cosa si mangia. Tra l’altro, anche chi è consapevole delle condizioni e delle sofferenze che patiscono gli animali, non è detto che smetta di mangiare carne. Ho amici e colleghi, che ho sensibilizzato e sono informatissimi: tutti hanno ridotto il consumo di carne (è difficile rimanere completamente indifferenti) ma solo alcuni hanno la voglia e disponibilità a cambiare regime alimentare. Tolstoj diceva che se i macelli avessero le pareti di vetro, saremmo tutti vegetariani. Secondo me aveva solo parzialmente ragione. Saremmo senza dubbio più vegetariani, ma non tutti purtroppo”.

Nel tuo lavoro ti occupi con lo stesso impegno e con la stessa passione di diritti animali e umani, come ad esempio quelli delle donne in Iran. C’è una priorità per te? Ci dovrebbe essere una gerarchia? Alcuni affermano che prima di battersi per i diritti degli animali bisognerebbe assicurarsi che in ogni luogo siano garantiti quelli umani.

“Il mondo è vario, le questioni sono tante. Io tendenzialmente vado dove sono in pochi a battersi, dove il mio apporto può essere utile alla causa. Ho interesse ad impegnarmi in situazioni in cui i soggetti offesi non hanno alcun tipo di diritto e alcuna possibilità di farsi sentire. Questo ha sempre segnato le mie battaglie. Le battaglie per i diritti degli animali seguono quelle per i diritti civili. E’ sicuramente l’ultima frontiera. Secondo me acquisendo sempre più rispetto per gli animali, rispetteremo anche i nostri simili”.

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L’idea di una dieta priva di alimenti di origine animale è stata partorita da un Occidente ricco e grasso, per non dire bulimico. Il veganesimo è un regime alimentare possibile e attraente anche per il terzo mondo?

“Innanzitutto, la sua più ampia diffusione sarebbe possibile e auspicabile nella nostra parte ricca del mondo, al fine di redistribuire le risorse del pianeta, in questo modo anche i paesi in via di sviluppo se ne potrebbero giovare. Purtroppo però, nei paesi che stanno registrando lo sviluppo maggiore, sta succedendo il contrario. Mentre l’Occidente abbandona la carne, i paesi emergenti vedono il suo consumo come una sorta di status symbol, è il primo prodotto da acquistare appena raggiunta la ricchezza. E’ un fenomeno contrario a quello che sta accadendo da noi. In Cina si stimano 500 milioni di maiali e le nuove borghesie cinesi e indiane mangiano sempre più carne. Per non parlare del Brasile, che è ormai il leader mondiale nell’industria dei polli. Purtroppo i dati dicono che entro il 2050 ci sarà un aumento di consumo di carne del 70% proprio a causa di queste dinamiche”.

Quindi una filiera corta con animali allevati in modo congruo e in condizioni dignitose sarebbe accettabile? O il fine ultimo dei vegani è la scomparsa di ogni allevamento per la macellazione?

“Sono diventata vegetariana per protesta nei confronti degli allevamenti intensivi. All’inizio non avevo problemi a pensare che un animale potesse essere ucciso per essere mangiato. Poi ho cominciato a leggere e ad informarmi sempre più. Ora non mangerei mai neanche un animale “felice”. Intanto riuscire a migliorare le loro condizioni negli allevamenti sarebbe già una grandissima conquista”.

Siete d’accordo? Per qualsiasi spunto di riflessione, qualche piatto vegano e un buon bicchiere di vino vi aspettiamo mercoledì al Kino, dalle 18 in poi in via Perugia 34. Costo della serata 5 euro. Tutte le info qui.