Giovedì torna “Mai fidarsi dei sommelier”. Un assaggio di quello che vi aspetta

Giovedì, all'Enoteca Palatium di Roma, comincia la nuova edizione di "Mai fidarsi dei sommelier", corso di avvicinamento al vino che è ormai diventato un format fortunato, grazie alla bravura della nostra sommelier Livia Belardelli. Visto il successo della prima, si replica. Per iscriversi, leggete qui. E se volete farvi un'idea di come sarà, ecco un resoconto scritto da Giulia Lucchese, che ci racconta una lezione. image_1365155407376273

La sommelier Livia Belardelli si è presa l’incarico di fornire ad un gruppo eterogeneo di ospiti tutti i mezzi per poter apprezzare un buon vino, parlare con nonchalance di una buona annata e abbandonare i classici errori del principiante. Un corso informale che ci ha insegnato qualcosa di eccezionale: il ricordo olfattivo è in grado di emozionare.

Partiamo con ordine, che parlare di vino senza criterio è pericoloso. Livia spiega le tecniche di cantina, quindi la vinificazione, poi passa alle tecniche di degustazione e infine invita a procedere agli assaggi. L’iter della vinificazione ci è svelata dalla vendemmia alla cantina. Vediamo le differenze tra quella dei rossi e quella dei bianchi, ci soffermiamo sulla macerazione, il mosto, scopriamo gli antociani e i tannini, le tecniche di spillatura, dal cappello sommerso alla follatura, lo scopo dell’anidride solforosa, la fermentazione e i metodi di invecchiamento. Ci togliamo qualche curiosità circa il ruolo del tappo a vite, in vetro, in silicone e in sughero, anzi anche in buon sughero. 

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Passando alle tecniche di degustazione apprendiamo che, se nella vita di tutti i giorni traiamo ispirazione dalla vista, quando si parla di vino questo senso è poca cosa rispetto a quello di cui è capace l’olfatto. Primo dei sensi in campo di degustazione di vino, Livia ci insegna che la vista può svelare limpidezza, colore, consistenza ed effervescenza, ma l’olfatto ha compito ben più nobile sapendo raccontare storie lunghe anni e riportare alla mente ricordi che non sapevamo di conservare. Quindi, in barba ai primi giochi fatti di osservazione visiva di archetti e lacrime sul bicchiere, impariamo a riabilitare il naso. Con la promessa di poter sentire fino a diecimila sfumature di odori, il consiglio di cui far tesoro è di annusare tutto quello che ci passa davanti.

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Livia ha colto l’occasione delle vacanze pasquali per catalogare qualche erba o radice della sua campagna da offrirci in degustazione, nasale si intende. Prima di procedere all’esame olfattivo, ci rassicura comunicandoci che non serve sfiorare il ridicolo per apprezzare un buon vino. Rintracciare il sale dell’Himalaya o l’ambra grigia è un’estremizzazione. Allora chiusi gli occhi, concentrati, ecco un gruppo di degustatori provetti alzare la voce per declamare la propria scoperta: vaniglia, licis, tabacco, castagna, rosa, viola, amarena, “senti che bosco”! Ogni degustazione apre un mondo di ricordi, non per forza raffinati. Ad esempio, pare qualcuno abbia fatto bingo scovando in un rosso d’Abruzzo l’odore che emanava un vecchio mobile dei genitori dove tenevano scarpe dismesse. L’imbarazzo di esternare il ricordo è stato subito soppiantato dalla gioia della scoperta che, sì, quel vino sapeva di pellame, e di umido e di cuoio. 

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Durante il tragitto siamo accompagnati da ospiti della serata che prendono parola per presentare e spiegare i vini delle loro cantine. Al primo appuntamento era con noi Pilar Monti delle cantine “Paolo e Noemia D’Amico”, di Castiglione in Teverina, in provincia di Viterbo, la quale ha proposto, per la degustazione dei bianchi, un Calanchi e un Falesia, peraltro quest’ultimo a detta degli ospiti vincitore tra le proposte della prima puntata. Al secondo appuntamento siamo in compagnia di Gaetano di Carlo che spiega l’idea innovativa di Salvo Foti, enologo e viticoltore dell’azienda “I Custodi delle vigne dell’Etna”, il quale, traendo spunto dallo Statuto sulla maestranza dei vigneri del 1425 ha capito che, mentre tutti andavano avanti, si poteva fare qualcosa di nuovo tornando indietro. Spiega che tutto il lavoro dell’azienda è fatto a mano, la manodopera autoctona e i protagonisti sono la zappa e Gino (il mulo!). E così il rosso Etneus che abbiamo bevuto è stato eletto come favorito dai degustatori al secondo appuntamento.

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Siamo sottoposti ad una "degustazione al buio": due vini avvolti nella carta argentata. Non ne capiamo il motivo, ma ne apprezziamo le evidenti differenze. Qualcuno azzarda giudizi di condanna nei confronti di uno ed esalta la perfetta armonia dell'altro, qualcun'altro fa tutto l'opposto. Con lo sgomento di tutti, Livia rivela l'arcano: entrambi sono toscani, rossi e Fuochi, dell'Azienda Agricola Poggioventoso (Riparbella – Pisa), ma di annate diverse, uno è del 2009, l'altro del 2010. Incredibile il numero di differenze e il grado di giudizio che siamo riusciti ad esprimere, tanto che la classe si divide equamente tra chi si dichiara per il primo e chi per il secondo.   

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L'ultimo e quarto incontro prevede una lezione sugli abbinamenti, il che vuol dire che si mangia. Prima di iniziare, Livia ci spiega che la tecnica dell'abbinamento non è solo una questione intuitiva, ma anche creativa. Ben venga accompagnare un piatto strutturato ad un barolo piuttosto che un'insalata, ma perché non tentare qualcosina di più affiancando l'abbacchio scottadito a un Sagrantino passito. Le nozioni più prettamente didattiche diventano poesia quando ci viene servito il piatto di salumi e formaggi da accompagnare alla selezione operata dalla nostra sommelier. Quindi, nei bicchieri abbiamo i siciliani Frappato rosato Osa e Frappato rosso Mandragola della stessa azienda di Paolo Calì, e un Syrah Castagnino di Fabrizio Dionisio, della zona di Cortona. In alto le forchette e avanti con gli abbinamenti con mozzarella di bufala, prosciutto di Bassiano, Corallina, Gran Cacio di Morolo affumicato, un pecorino romano giovane e un'incredibile susianella

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In sala il brusio aumenta ad ogni sorso, chi si era armato di una qualche diffidenza iniziale l’ha persa strada facendo e rimpiazzata con una risata, un appunto e una scoperta. Alla fine siamo rumorosissimi, a nulla vale zittire il compagno per riuscire a sentire la “maestra” e, mentre avanzano proposte di un prossimo corso in spumanti e champagne, un brio spontaneo ha preso il sopravvento e tutti godiamo della serata col sommelier. Salutiamo con un applauso fragoroso Livia e ce andiamo lievi e contenti. 

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