Hasekura: riso pavese e farina Barilla

Franca Palma mi accoglie con un sorriso, con quella calma tutta sua, che rappresenta quell’oasi di pace in cui mi tuffo quando vado a gustarmi un buon sushi e mi immergo in un universo del tutto anomalo rispetto al caos della metropoli romana, e in particolar modo monticiana.
È dal 1993 che Franca fa di Hasekura la sua casa, assieme a Ito, sua anima gemella e gran chef, che purtroppo dal 2003 è venuto a mancare. Ma lei, con il figlio, Jun Kobayashi, ha portato avanti la tradizione e la cura, la passione e il rispetto per una cucina che è anche molto di più.
È amore per una terra e per una cultura, che va ben al di là dei soliti ristoranti giapponesi a Roma.
Franca è addolorata per quello che è successo in Giappone, perché metà del suo cuore sta lì, ma ne ammira la compostezza e il decoro, a fronte invece della psicosi che ha pervaso l’Italia, inspiegabilmente a suo dire.
“Sono stata a Berlino lo scorso weekend e come sempre ho visitato i sushi restaurant più famosi, ma lì non hanno minimamente percepito la crisi. Spiace invece vedere come in Italia la stampa ingeneri sempre degli allarmismi, senza purtroppo attingere alla verità dei fatti”.
La gente è convinta che il pesce arrivi dal Giappone. “Ma come è possibile pensare una cosa del genere? Il Giappone è un Paese che non può esportare pesce in tutto il mondo, perché non ha una tale produzione da poter supportare certi numeri. Il pesce che mangiamo è mediterraneo e non potrebbe essere altrimenti. Semmai è il Giappone che importa qualsiasi cosa. È un Paese tecnologico, ma non ha materie prime tali da riuscire a soddisfare nemmeno il suo fabbisogno”.
Ma la soia? Le alghe? La birra? Il riso? La farina per la tempura? Non sono prodotti tipicamente giapponesi?
“Macchè, non scherziamo”, mi rimbrotta Franca. “Pensi che il riso lo compriamo da sempre da un produttore di Pavia, da cui tra l’altro si riforniscono anche a Berlino. La birra è prodotta in Germania e in Inghilterra. Le alghe sono secche e le riserve dureranno mesi e comunque la produzione si è spostata già da tempo in America e in Cina, così come quella del the verde. Anche la soia la produciamo qui in Italia e il tofu, che noi utilizziamo in svariate ricette, è prodotto dal laboratorio Otani, a Piazza Istria, qui a Roma”.
Franca mi regala anche un piccolo segreto della sua cucina: “La farina che noi usiamo per la tempura è la Barilla 00. La usiamo da sempre ed è la migliore, gliela consiglio!”
Franca mi spiega con quanto amore e serietà Hasekura da anni si dedica alla cura della cucina giapponese autentica. Non è un caso infatti se i giapponesi a Roma vengono a mangiare qui.
Il pesce arriva dalla Sardegna, da Civitavecchia, da Anzio. Ma l’arte della cucina giapponese”, come mi spiega sapientemente Franca, “può essere applicata ovunque, basta che la materia prima sia pregiata”.
La clientela non è diminuita, mi racconta lei, perché qui in genere sono tutti degli habitué. Ma all’ingresso c’è comunque un cartello a difesa della cucina giapponese e nel menu un appello in sostegno del Giappone, sobrio e delicato.
In linea con lo stile del posto.

Hasekura, via dei Serpenti 27 tel 06-483648

 

*Grazie al designer che ha realizzato il logo Support Japan per Puntarella: Dario Genuardi