Vini al bicchiere, un decalogo per enoteche e ristoranti pigri.
Ognuno ha le sue fisse, chi vede complotti dappertutto, chi odia il kiwi, chi non sopporta le infradito e anche io ho la mia. A parte le infradito, che condivido, c’è anche la questione del vino al calice. Succede spesso che si duelli, io e il cameriere sprovveduto. Non pretendo certo il sommelier, che è un lusso ormai, nei ristoranti. E neanche ce l’ho con il povero personale di servizio, che è vessato, sfruttato, malpagato etc. Lo sappiamo. Ce l’ho con i titolari dei ristoranti e con gli chef, che spesso se ne fregano del vino, usano la carta delle bottiglie per far soldi a man bassa e quella del vino al calice la vedono con sospetto, se non con fastidio e non addestrano il personale. E allora, siccome ho un’età e mi sto stancando di duellare, provo a far presente come dovrebbe essere la situazione vini al calice in un mondo perfetto. Poi vedete voi.
1. Non esiste che non scriviate da qualche parte la lista dei vini al bicchiere. Recitarli a voce è un disastro. Il cameriere non si ricorda il più delle volte quali vini ci sono e ne ha una vaga idea, il cliente fa fatica a capire di che si tratta.
2. Scrivere solo il vitigno, “pinot” o “nebbiolo” o “merlot” non significa niente. Che merlot è? Sudafricano o lombardo? Toscano Massseto, Friulano Gravner o marchigiano Pinco Pallo? Fa una certa differenza.
3. Oltre al vitigno, quindi, bisogna specificare il produttore e il nome del vino.
4. Bisogna scrivere sempre il prezzo o dirlo, nel caso disgraziato che non ci sia una cartuccella scritta. Cosa ne so se uno costa 4 euro e uno 12? Non ho il diritto di saperlo in anticipo?
5. Bisogna offrire nella scelta almeno 3-4 vini per colore. Cosa vi costa? Ci sono ristoranti da 200 coperti al giorno che hanno un bianco al calice. Come se in un ristorante nel menu ci fosse un solo primo o un solo secondo. Ci andreste in un posto così? Non ditemi che vi rimane la bottiglia aperta. Un bravo cameriere sa vendere qualunque vino (che peraltro può restare il giorno dopo senza problemi, se è un buon vino e chiuso bene).
6. Oltre al rosato eventuale, sarebbe bello inserire un vino orange o bianco macerato, come lo volete chiamare. E’ una categoria di vino interessante e divertente, fa capire al cliente che non siete rimasti all’Ottocento, ma vi guardate intorno e tenete in considerazione anche il mondo che vi circonda.
7. Bisogna diversificare i prezzi. Che senso ha mettere quattro rossi e metterli tutti da 5 euro o, peggio, da 10? Ci sono clienti che vogliono rimanere su un prezzo base e altri che possono permettersi di azzardare, ma non vogliono prendere tutta la bottiglia. Se hai quattro rossi, mettine uno a 5, uno a 6, uno a 8 e uno a 12. Libertà e ricchezza di scelta, felicità per tutti.
8. Sì alle bollicine, ma non per forza prosecco. In Italia abbiamo molti produttori di Metodo classico, che è l’equivalente del metodo usato per lo Champagne. Mettete un Franciacorta, un Alta Langa, un Oltrepò pavese, un Trento Doc.
9. A proposito di bollicine, perché non inserire anche qualche rifermentato? Il metodo ancestrale è una bollicina spesso originale, divertente e poco costosa.
10. Bisognerebbe cambiare spesso i vini al bicchiere. Se dopo sei mesi entro nel locale e trovo gli stessi vini di prima, mi intristisco. Perché non fare una rotazione in cantina? Si fa fatica? Ma il cliente va aiutato, incoraggiato, premiato, coccolato, non trascurato e bastonato.
Bonus track 1 Se ho tre rossi, perché non pensare anche agli abbinamenti? Non ha senso mettere tre vini tutti tannici o tre tutti molto alcolici. Meglio diversificare, anche qui: un bel rosso leggero, da 12 gradi, che magari fa solo acciaio, e poi a salire.
Bonus track 2 Perché non provare qualche etichetta diversa dai soliti nomi. Se entri e vedi Fontanafredda, Donnafugata, Ruffino, Planeta, Antinori, Frescobaldi, non ti dà un po’ l’idea di un sommelier che ha fatto l’ultimo aggiornamento negli anni ’70? Piccolo non sempre è bello, e la retorica del piccolo produttore a volte è pericolosa, ma scegliere etichette indipendenti, meno blasonate, rende la vostra cantina più ricca e originale.
Bonus track 3. Se siete un ristorante di Roma, ha senso avere vini locali. Non per forza limitati al vostro territorio, ma sarebbe bello trovarci un Cesanese, un Aleatico di Gradoli, una Malvasia puntinata, un Frascati. Lo stesso vale, ovviamente, per le altre città.