
Fornovo di Taro 2018, Vini di Vignaioli. Siamo stati a Fornovo di Taro, meravigliosa manifestazione di vignaioli più che di vini, gente con cui parlare, bere, mangiare ed ecco qua com’è andata, per sommi capi (in attesa di passare per il Van di Roma, 10-11 novembre 2018).
- Si parte in macchina con un podcast benemerito (Vino sul divano) di Jacopo Cossater che scopro su uno dei miei siti preferiti, Intravino. Mi scolo di un fiato le prime due puntate, con Armando Castagno e Fabio Pracchia. Un podcast ben equilibrato, strutturato ma bevibile, con una bella spalla acida ben temperata dalla morbidezza. Lo facciamo affinare qualche mese e sarà perfetto.
- Sussurra una voce che quest’anno Villa Favorita non si farà più a Villa Favorita, ma in un capannone vicino all’uscita dell’autostrada, zona Vinitaly. Ben meno scenografica e spettacolare della prima. Sconcerto, malessere. Che si fa? Convergenza verso Vinitaly? Si entra o si sta fuori? E il traballante Vivit? News a breve.
- Dice che Angiolino Maule, padre padrone di Vinnatur, quest’anno voglia imporre il suo pugno di ferro, come non mai. E quindi ha fatto sapere che chi partecipa alla sua manifestazione, non potrà partecipare ad altre. Angiolino, ma perché? Non sarebbe più naturale, ecco, lasciar liberi i produttori di andare dove vogliono?
- Nicolas Joly è il padre della biodinamica. Che dico padre, è il profeta. Si presenta alla masterclass di vini della Loira con un maglione girocollo marron, troppo largo, e pantaloni a coste di velluto. Scandisce le parole e gesticola con arte. Una via di mezzo tra Gilles Deleuze e Giampiero Mughini.
- Nicolas dice che in Francia è molto di moda il gusto del silicio nei vini bianchi. Le silex. Dice di prendere un vino, aprirlo e lasciarlo per 15 giorni aperto. Ogni giorno riempire un fondo di bicchiere e verificare che quell’aggressore infido che è l’ossigeno non l’abbia vinta. Dopo 15 giorni, sarà chiaro: quel vino aggredito, se sarà forte, avrà reagito e sarà ancora più forte. Oppure sarà morto. Kaputt.
- Nicolas dice che il vino bianco va bevuto caldo. Dice proprio così: chaud. Così riuscirete a scovarne l’anima. Magari proprio caldo no eh. Temperatura ambiente, se non siete in zona desertica.
- Nicolas dice che un vino è come la musica. C’è l’acustica, il musicista e la qualità dello strumento. Ci sono grandi violinisti con pessimi violini. Stradivarius in mano a pessimi violinisti. Ecco, nel vino l’agricoltura è l’acustica, il musicista è il produttore che prende le decisioni e lo strumento è il terroir. Musica, maestro.
- Dice un produttore francese, di questi della Loira, che “Nicolas non ama il vino“. Ohibò, come non ama il vino? “No, non lo beve. Lo dice lui stesso. E’ un teorico, un filosofo”. Lo dice con un’aria non troppo elogiativa. Tempi duri per i guru.
- Francesco De Franco, giovane (o quasi) e grande produttore di Cirò: “Vengo qui da anni. Sta cambiando un po’ il mondo dei frequentatori. Prima erano solo gli esperti, ora c’è gente un po’ diversa. Molti giovani. Gente che ha cominciato a bere subito in naturale. Nativi naturali“. Che bel titolo sarebbe per un libello. Pensiamoci.
- Si giracchia per gli stand. Il macerato torbidissimo di Col di Corte, il Saten di 1701, gli straordinari vini di Podere Pradarolo. La commozione per la foto di Stefano Bellotti e per Ilaria, che ne preserverà la memoria e l’azienda.
- La mortadella (non mi ricordo chi era il produttore, troppo vino) è fantastica. Decido di renderle omaggio a dovere, abbeverandomi allo stand di Camillo Donati, con il suo Lambrusco Maestri. Camillo, con piglio posato ma deciso da parmense doc, si scaglia contro i grandi produttori: “Non ci possiamo scrivere niente in etichetta. Se la faccio un po’ più larga o un po’ più piccola, c’è il penale”. Poi, a un cliente stupito di vedere il Sauvignon blanc, spiega: “Sì, è un vitigno internazionale ma in Emilia c’è arrivato duecento anni fa. Ce l’ha portato il Conte Brian“.
- Che poi, diciamolo, giusto distinguere tra vitigni autoctoni e vitigni internazionale. Ma anche l’autoctono è autoctono fino a un certo punto, perché la storia del vino è storia di contaminazioni, incroci, scoperte, riscoperte, abbandoni. Nessun vino è autoctono davvero, da vicino (va beh, dai, il Nebbiolo sì).
- Leggere aiuta a capire, son tempi che bisogna ridirle queste melensaggini. E così, dopo aver divorato il bel libro di Marzia Pinotti “La barbera è femmina!” e aver capito che di barbere ce n’è un monte e son tutte diverse e prima erano diverse ancora e molte altre barbere ci sono e ci saranno, mi son fermato da Giulia Gonella e ho assaggiato la sua. E poi anche l’arneis macerato, il Grano di Sale. E il nebbiolo. E che bello. E a quel punto è arrivata l’ora di andarmene, non senza portarmi sotto braccio una bottiglia di Monte Mattina, lo Zampaglione (non quello dei Tiromancino, no).
Commenta per primo