Er Murena in punta di forcone a Roma: il maiolicato Pizzium, il caffè etiope di Faro e il parrucchiere indignato di Celeste Oyster Bar

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Er Murena in punta di forcone: Pizzium, Faro e Celeste. Del perché la pizza di Pizzium va provata e va vista una pizzeria che finalmente non ha un ambiente triste né inutilmente emulativa di un ristorante. Del perché Faro resta il nostro punto di riferimento per il caffè a Roma. Del perché per aprire un ristorante, non bisogna fare come Celeste.

Pizzium

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Quando arrivo c’è Funiculì Funiculà e mi si arriccia la coda. Quando me ne vado, c’è la Ballata del Michè e mi si distende il trigemino. In mezzo, scalo voluttuosamente questa montagna alveolata a forma di cornicione, una semplice e meravigliosa Margherita, ben idratata (un litro d’acqua per 1,7 chili), a media lievitazione, fatta con la farina Quaglia che, per una faccenda di destrine e maltosio che non ho nessuna intenzione di capire risulta particolarmente digeribile e soffice. Intorno a me, il pavimento maiolicato e la parete a mattoncino con l’ammiccante  e un po’ ridicolo “Ciao Bella“. Pizzium è una catena appena sbarcata a Roma e smentisce il luogo comune che la catena sia buona solo per la bicicletta (Berberè è d’accordo con noi). Ora i soci stanno cercando una nuova sede tra Tuscolana e Ponte Milvio, ma nel frattempo ci gustiamo questa di via Piave, bella ampia e colorata, un buon esempio di come dovrebbe essere una pizzeria fuori dai canoni del localaccio squallido con pizzaiolo che fa volteggiare una palla d’amido che si allunga sul soffitto grigio catrame, mentre i clienti provano a scavalcare il muro del suono dell’inquinamento acustico.
Pizza: 8 Locale: 7,5 Forma del menu a disco di pizza: 5 Musica: dal 4 al 7. Birra artigianale Pizzium: 7

Pizzium, via Piave 9, Roma. Tel. 06 4201 0652 

Faro

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Ci accoglie una lavagnetta che segnala come Faro sia stata indicato dal noto sito Puntarella Rossa come il locale dove si fa il miglior caffè della città. O perbacco, se lo dicono quei bravi ragazzi di Puntarella Rossa dev’essere vero. E allora ci sediamo su un tavolino e ci guardiamo bene dal chiedere “un caffè“, memori di quando a Berlino chiedemmo “un wurstel” a un accigliato giovane germanico. Non ci caschiamo, amici, e chiediamo consigli al nostro barman. Uno dei quattro ragazzotti, tutti giovini e bellocci, che volteggiano per la sala. Preparatissimo il nostro, ci chiede: “Preferisce africano o americano?”. Noi d’istinto, causa colpo di coda di terzomondismo ormai fuori tempo massimo, diciamo africano. Ed eccoci davanti a un caffè etiope, Nano Challa. “Lo degusti prima olfattivamente”, dice un cameriere. Dopo un’analisi organolettica molto dettagliata, sentenziamo. All’olfatto: molto buono. Al gusto: molto buono. Prima o poi ci toccherà un corso di degustazione caffè, dopo quello vini, formaggi, avocadi e melograni. Nel frattempo azzanniamo un pasticcino (al caffè, naturalmente) e navighiamo con gli occhi nell’ottimo Faro (avercene), mentre uno dei ragazzotti deve essersi portato avanti nella serata perché in sala risuona una musica decisamente alta che non sfigurerebbe al Silencio, il club parigino di David Lynch.
Caffè etiope: 8 Musica: 7 Pasticcino 7 Ragazzotti 7 Lavagna 9

Faro – Luminari del caffè, via Piave 55 Roma. Aperto dalle 7 alle 19. Sito

Celeste fish & oyster bar

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I soliti comunicati lo celebrano in pompa magna. E allora, diligenti, andiamo da Celeste, fish & oyster bar, che ha preso il posto di Set, la libreria-bar-ristorante della tormentata galassia di Settembrini. Ne usciamo che sembriamo un kebab fritto avvolto in carta da pesce. La povera Francy ha buttato via quei 200 euro di parrucchiere e il delizioso abitino. L’indignata Linda chiederà invano uno sconto. Già, perché da Celeste hanno un piccolo problema: l’ambiente è piccolo (20 posti) e si frigge alla grande, come non ci fosse un domani. E l’aspirazione? “Non possiamo accenderla – ci spiega il gentile ragazzo – altrimenti gli inquilini si lamentano”. A posto. La porta si può aprire? “No, perché c’è una coppia lì vicino che non vuole”. Ok. La commensale chiede se si frigge con olio di arachidi, perché è allergica. Titubanza, poi arriva una ragazza dalla cucina, entusiasta: “No, no, usiamo solo olio di girasole per friggere!”. Olio di girasole? Aiuto, quello ha un punto di fumo a 130 gradi (la frittura raggiunge 160-180), ed è un olio industriale gonfio di grassi polinsaturi, cosa c’è da essere fieri nel friggere in olio da girasole? Le posate stanno in bilico su turaccioli tagliati male, il vino non ne parliamo, la carta quasi inesistente, il ragazzo che serve è volenteroso e gentile, ma sta come su una scialuppa alla deriva. Il cibo? Sarebbe anche accettabile ma non ha senso parlarne in questo contesto. E insomma: siamo sicuri che basta cucinare per fare un ristorante? Il buon Andrea Vianello (uno dei molti dirigenti Rai che girano nei dintorni), la Geppy Guggiari che amoreggia in un angolo, i due russi che rimorchiano due signore italiche, Francy, Linda e tutti gli altri meritano uno sforzo in più.
Fritto 2 Odore di fritto 1 Grassi polinsaturi 10 Vini 3 Cucina 6. Guggiari 7 

Celeste. Piazza dei Martiri di Belfiore 12. Roma. Tel. 06.97277242