Ambaradan Milano, la pizzeria dove paghi secondo il gradimento

Pizzeria Ambaradan Milano Apre a Milano una nuova pizzeria, Ambaradan. Ed è subito curiosità soprattutto intorno alla formula inedita, ovvero: il cliente paga secondo il gradimento. Siamo andati a vedere come funziona e – soprattutto – come si mangia. Non senza prima aver ripassato un po’ di storia.
Nel linguaggio comune, la parola ambaradan significa “insieme disordinato di elementi, guazzabuglio, grande confusione” (Wikipedia). Il termine si rifà a una località – Amba Aradam, appunto – dove, durante la Guerra d’Etiopia, avvenne una battaglia tanto caotica quanto cruenta.
Il milanese tipo ha adottato la parola in modo sbarazzino, dimenticando l’origine poco positiva e usandola in genere per indicare un’allegra baraonda.
Ed è davvero un’allegra brigata, guidata dal patron Paolo Polli, quella che accoglie i clienti nel locale, gradevolmente spartano, in via Castelvetro, zona Sempione.

Mentre al forno si affaccenda il pizzaiolo Enrico Formicola (in arrivo da Pizzium), il personale in sala porge i menu e un fiore di cartoncino su cui è indicata la pizza della settimana. Svelando l’arcano dei 3 prezzi riportati per ognuna delle proposte mangerecce, per le birre artigianali, per i vini e per i cocktail: al momento del conto, agli avventori sarà chiesto un giudizio tra migliorabile, buono e ottimo; nel primo caso, si pagheranno i prezzi più bassi, se il voto è buono i medi, con l’ottimo i più alti, a scatti di 1 euro. La differenza tra buono e ottimo finirà nelle tasche del personale, diventando così una sorta di mancia 2.0.
Tutto chiaro, siamo pronti per l’ordinazione.
La carta promette bene tra sfiziosità (tre varianti di montanarine, pizzelle fritte a 2-3-4 euro), pizze bianche (prezzi base da 8 a 11 euro), rosse (prezzi base da 5 a 8 euro), insalatone (9-10-11 euro), birre artigianali del Birrificio BQ (40 cl, 4-5-6 euro), cocktail (7-8-9 euro) e vini al calice (5-6-7 euro).
La nostra scelta cade su due montanarine (pensate anche per il take away al quale è riservata una finestra su strada) e due pizze.

C’è subito da dire che le pizzelle sono molto golose. La pasta è alta, soffice, dorata e asciutta, solo un po’ difficile da tagliare se, come spesso accade, si vuole condividere l’assaggio con i compagni di tavolo. Ma è tutt’altro che un difetto. La montanarina Classica con San Marzano e ricotta salata viene immediatamente addentata e finita con gioia in pochi, libidinosi bocconi.

Ugualmente gustosa la Burrata. L’unica – microscopica – perplessità sui pomodorini pendolini in conserva usati a crudo. Anche se, essendo di ottima qualità (tutti gli ingredienti principali hanno nobili origini, dall’uovo di Parisi al fiordilatte di Agerola), hanno una fragranza e un profumo più che apprezzabili.

La prima pizza ad arrivare è la Taggiasca (7-8-9 euro) con acciughe del Cantabrico, San Marzano, fiordilatte e ovviamente olive taggiasche. Buono l’impasto di questa napoletana, bassa con cornicione spesso e soffice, cottura corretta, ottime le acciughe, morbide e non eccessivamente sapide, così come le olive. Peccato solo un filo d’olio di troppo che appesantisce un po’.
Ma il vero dispiacere è quello provato dal secondo commensale che, mentre il primo addenta la sua Taggiasca, attende impaziente quanto ordinato: 5 minuti buoni di attesa tra una pizza e l’altra, a uno stesso tavolo per due, sono un po’ troppi e fanno aumentare di molto la salivazione di chi è rimasto – momentaneamente – a bocca asciutta.

Finalmente, eccola: la tanto agognata pizza della settimana con mortadella tartufata e pomodorini gialli (10-11-12 euro). Che però si rivela una piccola delusione. Perché le fette di mortadella sono 4, un po’ spesse e con la pellicina dura tutt’intorno: fossero state sbucciate e affettate più sottili, la stessa quantità (quindi, lo stesso food cost) avrebbe coperto interamente la pizza che a ogni fetta sarebbe risultata più godibile. Invece, gli spazi vuoti sono occupati dai pomodorini crudi, un po’ buttati lì, che scappano via appena si prova a infilzarli con la forchetta o dividerli con il coltello.
Ci consoliamo con due buone birre: una Valchiria Dubble ambrata e caramellosa, e una Ambaradan Double, scura, agrumata e amara.

È il momento della verità: ci è piaciuto fino a spingerci all’ottimo? O qualcosa era francamente migliorabile? Ci viene spiegato che il giudizio è globale, per tutto il tavolo, che dovremo fare una media e che comunque il personale è pronto a rispondere a ogni nostro dubbio.
Ci consultiamo, concordiamo che dare un giudizio su ogni consumazione sarebbe complicato, ma forse ci potrebbe essere un modo per segnalare il singolo piatto o drink che secondo noi non funziona. Non avendone la possibilità optiamo, a malincuore, per un buono, che segniamo sul fiore di cartoncino, diventato paletta-voto.
Niente mancia per stasera. Ma – e anche questo dispiace – nessuno che al momento di portare il conto si premuri di chiedere cosa ci ha impedito di dare un ottimo.
Alla fine, riflettiamo che in questa pizzeria l’ambaradan è ancora un tantino confuso e disordinato. A una settimana dall’apertura ci sta. E sembrano esserci ampi margini per aggiustare il tiro.

Ambaradan, via Castelvetro 20, tel. 023451701