Er Murena in punta di forcone: Voodoo Bar, Za’atar, G Like, Berberè, Bibi Brace&Cucina.
Voodoo bar
Il terzo occhio, per carità, è una cosa serissima e non ci si scherza sopra. Tra l’altro te lo applicano un paio di ragazze che ancora me le ricordo. L’incenso poi, niente da dire, ha ottime proprietà espettoranti e ti pervade di divino. Sul sitar già mi innervosisco un po’. Vabbè, mi dicono, ma Ravi Shankar? E i Beatles? Ok, avete ragione. Poi guardo il messicano triste che vende guacamole e latte di cocco, attorniato da decine di Ariana Grande della Balduina. Ci guardiamo negli occhi. E’ lo sguardo più triste che abbia mai visto in vita mia (dopo quello che farò io, non appena assaggiato il mio cocktail fusion e tribale).
G Like
Bello, bellissimo. Caro, carissimo. Sarà per questo che quando uno cerca di fare una foto al menu viene rimproverato? Qualcosa da nascondere? Suvvia, non è bello. La trasparenza prima di tutto. E l’orgoglio dei propri prodotti e dei propri prezzi, anche quando una coppetta di gelato con gusto gourmet arriva a costare 4 euro.
Berberè
L’impasto della pizza è così soffice e miracolosamente in equilibrio da far venire le vertigini. Ma, tranquilli, nel dehors di Berberè non si cade. Si sta tutti ben serrati, più vocianti che in una serra, gomito a gomito con i vicini. Servirebbe una legge, un codicillo, che stabilisca nei ristoranti un addensamento massimo, uno spazio vitale invalicabile, per poter addentare la tua fetta di pizza da soli, senza l’ombra occhiuta del vicino.
Za’atar
Metti una sera seduto all’aperto a Testaccio. La felicità di un tavolino di fronte al Macro, nel nuovo ristorante mediorientale Za’atar. Hai appena addentato il tuo baba ganoush, quando sfreccia un’auto in curva. Finestrino abbassato, partono un paio di “proiettili” che colpiscono una comitiva di ragazze e una coppia. Si fa in tempo a percepire l’eco della risata di un giovanotto. Costui, poco prima, aveva organizzato il suo sabato sera. Era andato in un negozio, aveva comprato delle uova e raggiunto gli amici. Ha custodito le uova con cura, per non romperle. Poi ha preso la mira e ha compiuto l’audace impresa. Foodies del cazzo, o come vi chiamate, vi roviniamo la festa. L’ascensore sociale si è bloccato, si soffoca.
Bibi Brace&Cucina
Provi Bibi Brace&Cucina, a Prati. Un ristorante nuovo (degli stessi proprietari di Bibi e Romeo) e familiare, senza infamia e senza lode nell’aspetto, che azzarda una carta dei vini completamente al naturale. Bravo, ottimo. C’è solo da convincere il cliente di Prati che quella polverina in fondo alla bottiglia non è un segnale d’allarme, è solo il fondo del vino non filtrato. Bon, il cliente ordina un antipasto niente male, un bicchiere di vinello e sarde alla beccafico. Arriva il piatto. Le sarde sono cotte poco. Difficile ingurgitarle, restano sbocconcellate e abbandonate tristemente nel piatto. Il cliente non vuole infierire e non dice nulla. Chiede il conto. Arriva il proprietario, accaldato. “E’ imperdonabile, guardi, io le chiedo scusa davvero, non so cosa è successo in cucina, non succederà più. Naturalmente lei non paga nulla, offriamo noi tutto e speriamo che ci dia un’altra possibilità”. Anche due. Avercene di ristoratori così.