Franco Pepe da Princi Milano: una pizza mediocre, con la pasta che si sfalda e la cornice gommosa, accostata suo malgrado al nome del famoso Franco Pepe. Qualcuno l'ha definita come la migliore pizza di Milano: evidentemente non l'ha nemmeno assaggiata. Il critico Valerio M. Visintin ci racconta tutta la sua delusione e le sue aspettative disattese.
di Valerio M. Visintin*
Esco di casa irradiato da una sensazione di attesa felice e fanciullesca. Perché? Stasera, mangerò una pizza vera, una pizza con quattro quarti di nobiltà. Pregustando il momento, non cammino: saltello felice verso piazza XXV aprile, dove si celebrerà, finalmente, una miracolosa liberazione gastronomica.
Per l’occasione, ho convocato, tra gli altri, anche un amico napoletano, promettendogli due ore di tregua alla nostalgia di casa.
“Ma Princi non è un panettiere? Che ne sa di pizza?”.
“Ma tu lo sai chi ha chiamato per insegnargli i segreti? Fran-co Pe-peeee!”.
Il mio amico non ha la minima idea di chi sia il signor Pepe. Ma il mio entusiasmo basta per convincerlo a unirsi a noi.
Abbiate pazienza se comincio con questo retroscena personale. Ma non posso nascondere un certo imbarazzo nel valutare un locale così densamente affollato di aspettative disattese.
Nei giorni scorsi, ero stato rapito dalle recensioni incantate, che hanno popolato ogni anfratto internettiano. Madidi peana all’indirizzo del nuovo Princi mi chiamavano con voce di sirena. C’è persino chi è giunto a scrivere che da Princi si sfornano le migliori pizze di Milano. A costoro vorrei dire che siamo messi male, certo, ma non fino a questo punto.
Non potendo dubitare dell’arte riconosciuta del pizzaiolo casertano Franco Pepe, debbo dedurre che la pizza non è compatibile con le adozioni a distanza. E vorrei chiedere a Pepe in persona di traslocare, armi pala e bagagli, nella nostra città o di abbandonare onestamente l’impresa.
Il suo buon nome, qui, è accostato a un’edizione mediocre: cottura incerta, cornice gommosa (sembra a presa rapida: lasciatela lì 60 secondi, e avrete il caucciù), pasta che si sfalda al centro, digestione più che ardua.
Non meno disarmante è il resto del locale. L’ambiente è buio e irrisolto: un po’ discoteca, un po’ sala d’aspetto, un po’ obitorio da telefilm.
E se non è comodo pasteggiare abbarbicati agli sgabelloni, non è allegro accomodarsi nel cantone di sala arredato, se non altro, con tavoli a misura d’uomo. Il servizio, ancorché cortese, è in piena crisi esistenziale. Forse rintronati dalla musica battente, giovanotti e giovanotte in grembiule appaiono e scompaiono a ondate, con simultaneità prodigiosa, come fossero legati da un filo invisibile. Inutile aggiungere che la fase di latitanza coincide sempre con una nostra urgenza.
Chiuderei qui. Tuttavia, occorre fare una breve riflessione sui prezzi. Qualcuno, a quanto pare, è convinto che i milanesi siano un popolo di nababbi allegramente storditi dal profumo delle carte di credito. Può darsi che qualche esemplare di quella vana stoffa abbia cittadinanza. Anzi, è sicuro. Per tutti gli altri, però, è difficile trattenere un certo sdegno davanti a queste cifre: margherita 11 euro, birra piccola 6 euro, bottiglia d’acqua 4,50.
Torneremo per provare il resto della cucina. Appena smaltita la pizza.
Nel frattempo, mi tocca abbozzare, quando, sul finire della serata, l’amico napoletano mi ingiunge una manona sulla spalla, sussurrando in un guizzo di sarcasmo partenopeo: “Mi dispiaccio per voi, caro Valerio. A Milano, la nostra pizza non ci vuole venire”.
Princi, piazza XXV Aprile 5, Milano. Tel. 02.29060832 – sempre aperti
*Tratto da Mangiare a Milano del Corriere della Sera