di Wolf Bukowski
Fico, la Disneyland del cibo di Oscar Farinetti a Bologna. Sarà poi vero che fritto è buono tutto, ma proprio tutto? A tavola c'è da discuterne, ma per quanto riguarda il marketing politico la risposta è affermativa. Perché con una buona pastella di slogan e l'olio del consenso ad alta temperatura l'entusiasmo precede il ragionamento; così, prima ancora di sapere cosa c'è nei bocconi, i commensali si tuffano sul piatto e levano i calici: grande frittura, eccellente cuoco! Con un po' di pastella, è buono buonissimo anche il Fico. Non già il frutto del Ficus Carica che, semmai, è meglio seccato, ma la Fabbrica Italiana Contadina, pollone dell'Eataly di Oscar Farinetti che spunterà nell'area centrale dell'attuale Caab, il mercato ortofrutticolo di Bologna all'80% di proprietà comunale. Di questo Fico la città parla e riparla ma senza farsi troppe domande, forse per paura di scoprire che, dietro al nome ammiccante, c'è la solita Piccola Grande Opera che promette a tutti sviluppo, ma mantiene solo fichissimi profitti per pochi. Come la Variante di Valico e la Tav, che ai bolognesi non hanno portato che danni ambientali e urbanistici; come il Civis, Operetta comica locale risoltasi in sole pensiline (progettate da qualcuno che pare avere gravi motivi d'odio verso i pedoni), o il People Mover, monorotaia che per far risparmiare tre minuti verso l'aeroporto mette sul piatto 110 milioni di soldi pubblici a tutto vantaggio della coop rossa CCC. No no, tutto questo è assai poco fico. Ma ora la musica cambia, con il Fico.
Il Fico, ovvero la Disneyland del cibo, è fatto di: trenta ristoranti e “stalle, acquari, campi, orti, officine di produzione, laboratori, banchi serviti, grocery […] per apprezzare le caratteristiche del cibo italiano in tutto il loro splendore, e nella loro inarrivabile eccellenza”. Il Fico è “attrezzato con adeguata cartellonistica, audio guide e accompagnatori didattici” ; il Fico è “un grande Parco a valenza nazionale e internazionale” che “dovrebbe coinvolgere da 5 a 10 milioni annui di visitatori, un terzo dei quali stranieri”, ci informa il Comune, subito scavalcato da Farinetti per il quale i 10 milioni non sono semplici visitatori, ma veri e propri turisti: l'obiettivo è battere Eurodisney Paris, che ne fa dodici.
Il Fico è un cambiamento radicale nel senso comune: nessuno potrà più dire “i bambini di città non hanno mai visto una gallina” e “credono che le patate crescano sugli alberi”, ah no no! I bambini e le bambine passati per la visita al Fico (auspicabilmente curricolare e ripetuta in ogni ciclo scolastico) avranno visto vere galline e forse dissotterrato originali patate. Ma – ecco l'intuizione geniale, ecco il salto qualitativo dal consumo di massa all'ipnosi collettiva! – avranno visto volatili, tuberi, pomi e frantoi veri in un luogo e in un contesto che li rende del tutto falsi. Che fa della produzione agricola e della trasformazione in cibo, ovvero delle basi della nostra sopravvivenza, una sorta di meta-mall, un centro commerciale in cui prevarrà (ma mica tanto) la parte didascalica, didattica o (fintamente) esperienziale su quella destinata alla vendita. Si vedano i rendering che si trovano in rete, e si ammiri l'identità con i seriali e rassicuranti templi suburbani della Grande Distribuzione Organizzata.
Il paragone con un mall scappa anche ad Andrea Segré, presidente di Caab e partner dell'intrapresa farinettiana, quando cerca di ammorbidire le cifre sparate da Sua Fichità: “Oscar è partito dal dato che a New York Eataly è il secondo posto più visitato, superato solo dall’Empire State Building. Il Centronova, poi, ha 5 milioni di ingressi annui. Dieci milioni è il nostro obbiettivo, partendo magari con 2,5 o 5 milioni e facendo una progressione”. Dunque la “libidine di battere Eurodisney” (sic, Farinetti) e i 10 milioni di turisti non sono affatto all'ordine del giorno; forse neppure gli “imponenti flussi didattici” ricamati dal Comune, ma più modestamente si punta qualche milioncino di “ingressi”, come al Centronova della Coop o in un qualsiasi altro centro commerciale della provincia. Il Fico oscilla tra le ambizioni disneyane, la realtà da ipermercato e il nulla. “Cos’è Fico? Un centro commerciale o una Disneyworld?” domanda a bruciapelo un giornalista a Tiziana Primori, Vicepresidente di Eataly. “Né l’uno né l’altro, non lo sappiamo neanche noi”, risponde lei. A proposito di quanto sopra sul contenuto del fritto…
Al Fico il Comune conferisce 55 milioni di patrimonio pubblico immobiliare. Nella delibera non è affatto chiaro se li metta a disposizione a titolo oneroso al Fondo costituito da Caab e che a sua volta costituisce l'Operating Company con Eataly (e se sì, quanto è l'affitto?); o se invece “la remunerazione di CAAB e degli investitori [avverrà] attraverso la distribuzione degli utili della Operating Company”. Quindi in caso di niente utili, un Fico secco?
Ancora: il Fico ha “costi di territorio/cementificazione pari a zero [e] sostenibilità pari al 100%”, scrive il Comune. Ma in ballo c'è il “progetto per la costruzione del Nuovo Mercato Ortofrutticolo che sorgerà nella stessa area senza consumo di territorio”, e inoltre la delibera del Comune modifica una convenzione del 1994 che obbligava Caab alla costruzione diretta degli immobili di servizio e lo autorizza “alla sub-cessione del diritto di superficie sulle aree e immobili sopra descritti, interessati dal progetto denominato Fico, a favore del soggetto istituzionale che sarà individuato tramite selezione”. Difficile credere che tutto questo turbinio edilizio resti a lungo sostenibile al 100%. Ma anche se fosse, questi edifici a zero consumo di territorio per spostarvi i grossisti che devono lasciare spazio a Fico, a spese di chi verranno realizzati? Forse di CAAB, e quindi del Comune?
Un'ipotetica lista della spesa pubblica però non finisce qui: per portare i pellegrini al Fico è insistente la richiesta di infrastrutture. Farinetti chiede “treni fichi” (testuale) per andare alla Disneyland del cibo, l'associazione costruttori edili sottoscrive; addirittura Prodi e Cofferati si fanno vivi per invocarle; Confindustria poi addirittura auspica che con il Fico Bologna “esca da quel blocco delle grandi opere che iniziò proprio qui [al Pilastro, dove è il Caab] alla fine degli anni ’80, quando il sindaco Imbeni fermò la realizzazione della terza corsia dell’autostrada ascoltando un comitato di cittadini”.
I cittadini, questi rompifico, saranno poi quelli che pagheranno le infrastrutture fiche con l'ennesimo aumento del biglietto del trasporto urbano, vogliamo scommettere?
Ma, andando al sodo (ai soldoni), chi sale su questo Fico che non si sa bene neppure cosa sia? Il primo a farsi avanti come socio di peso è Coop Adriatica, quella Coop che già ora con la sua galassia societaria stringe d'assedio Bologna con una pletora di centri commerciali nella prima periferia, due grossi store FIChetti a un passo dalle torri e le piccole InCoop che si moltiplicano nelle stradine del centro a manifestare l'intolleranza del gigante rosso per la minuscola concorrenza delle botteghe dei pakistani. Si fanno poi insistenti le voci di candidature di Intesa San Paolo, il cui maggiore azionista è la Compagnia di San Paolo presieduta dal compagno Pp ed entusiasta di Grandi Opere Sergio Chiamparino, di Unicredit, di Unipol ed è invocata l'immancabile Cassa Depositi e Prestiti, con i soldi dei depositi postali dei pensionati che gestisce. Non si sa mai: forse Cdp deciderà davvero di investirli seppellendoli sotto il Fico, un po' come fece Pinocchio nel campo dei miracoli.
Chi manca? Quasi nessuno: gli investitori accorrono come vespe al fico e dunque il Fico corre verso la realizzazione. Chi manca allora? Ah già, un contadino! Ma che sia un tipo fico, con la camicia di flanella a scacchi. E che sia forzuto, perché deve portare quell'enorme foglia! Sì sì, proprio quella laggiù. Quella di Fico.
di Wolf Bukowski
* Wolf Bukowski vive sull'appennino bolognese e scrive prevalentemente di territorio, memoria e infrastrutture: Dov'è il monumento? Una conversazione con Luigi Fontana attorno a Monte Sole, autoedizione 2010; Dimenticare Marzabotto?, Epika edizioni 2011; La Variante di Valico ovvero come il Partito ha imparato ad amare la Grande Opera, reading con immagini di Giuditta Pellegrini, in scena dal 2013. Ha scritto e rappresentato, con Donatella Allegro, A mano o in lavastoviglie?, piccolo conflitto ambientale in forma scenica (2013, anche come ebook); unica fiction è Il grano e la malerba, Ortica edizioni, 2012. Ha collaborato con il Comitato No-Turbogas di Lama di Reno (Marzabotto) con le Osservazioni sul mercato immobiliare (2009) e con Ci sono cose che è meglio non sapere, ciclo di articoli sui pozzi esplorativi per la ricerca di idrocarburi (2010); conduce visite guidate alle Grandi Opere e incontri su cibo e lavoro agricolo (Pane al pane e denti al popolo!, 2012; Denti, zappe e facchini, 2013).