Pipero e il coronavirus: nel suo ristorante mette in tavola carbonara, termometro e amuchina. Pipero è uno dei più noti maître di Roma, singolare esemplare di oste capace di schiettezza e ironia, ai limiti dell’audacia, e grande professionalità. E così, nel suo ottimo ristorante romano, comunica di avere preso alcune misure piuttosto eccentriche. Di prevenzione psicologia, più che altro.
In un’intervista a Italia a Tavola, spiega che ai suoi ospiti mette a disposizione il termometro elettronico, caso mai qualcuno, colto da improvvisi deliqui, decida di misurarsi la febbre. Non contento, a disposizione del cliente, c’è anche una dose di amuchina che, di questi tempi, rischia di costare più della sua carbonara (ottima, ma non propriamente economica, 35 euro).
Pipero spiega che gli affari in questo periodo sono diminuiti del 30-40 per cento. Ma naturalmente il calo non è uniforme. Mancano gli stranieri, che hanno dato disdetta o non sono proprio partiti. Il che si riflette direttamente, naturalmente, più sui ristoranti del centro – sia di qualità sia popolari – che su quelli di periferia. Mancano anche i turisti italiani, perché viaggiare in questo momento è attività poco amata. E naturalmente “si esce meno la sera, compreso quando è festa“, come diceva Lucio Dalla, e questo riguarda tutti romani e milanesi compresi.
Le possibilità di contagio in un ristorante, in realtà, sono decisamente scarse e comunque infinitamente inferiori rispetto a quella di salire su una carrozza della metropolitana di Milano o su un autobus di Roma. Non c’è ragione di sospendere ogni attività, a meno che, naturalmente, non si pensi di autoisolarsi in casa, evitando contatti con chiunque, per qualche mesetto. Escludendo tale prassi piuttosto estrema, una persona razionale dovrà cercare di evitare mezzi di trasporto e luoghi troppo affollati, fare attenzione a rispettare le norme igieniche. E mangiare e bere serenamente, perché (forse) non è la fine del mondo. Molti ristoranti, nel frattempo, soffrono, perdono clienti e fatturato. Provano a rilanciarsi con appelli – come quello degli Ambasciatori del Gusto o di Massimo Bottura e soci di “Modena a Tavola“. Adottano prassi più igieniche, allargando gli spazi, sanificando gli ambienti. La scommessa è che non prevalga la psicosi, che si possa ancora pensare di mangiarsi una carbonara e bersi un bicchiere di vino in sicurezza, senza doversi allungare la sciarpa sulla bocca dopo ogni boccone.