Vinitaly 2017, otto cose da ricordare dell’ultima edizione della fiera del vino di Verona

Vinitaly 2017, otto cose da ricordare dell’edizione che si è appena conclusa. È sempre una bella sensazione oltrepassare il tornello del Vinitaly di Verona il mercoledì pomeriggio. Un ultimo sforzo per volare alla stazione e saltare sul treno. Direzione Roma Termini. Casa.

È una bella sensazione perché a me il Vinitaly stanca e dà energia al tempo stesso. Incontri, prospettive, nuove possibilità. Di questo colorito lunapark mi piacciono anche le cose meno piacevoli, adoro persino quelli che si lamentano, quelli del “io l’anno prossimo non vengo più, basta!” e poi l’anno successivo li ritrovi lì, sull’attenti come soldatini ordinati e il solito lamento tipo pentola di fagioli borbottante. Così sul mio treno di ritorno per Roma, mentre la campagna italiana accarezza all’imbrunire il finestrino, ripenso, in ordine sparso, ad alcuni momenti della mia personale flânerie.

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1 Il Grero di Tabarrini

La tappa allo stand di Giampaolo Tabarrini per riassaggiare ancora il suo grero, vitigno autoctono di Montefalco – contraltare del sagrantino, morbido e senza asperità, “antitannico” e vellutato – riscoperto dallo stesso Giampaolo e proposto in anteprima al Vinitaly.

2 ColleMassari

Gli assaggi nello stand di ColleMassari, tre fuoriclasse come Poggio Lombrone, Grattamacco e Poggio di Sotto – espressioni diverse e complementari del trittico toscano Montecucco, Bolgheri e Montalcino – coccolata dall’accoglienza sensibile e affettuosa di Maria Astorga e dall’ironia fine di Claudio Tipa.

3 I rossi del Centro Italia

Il mio seminario sui rossi del centro Italia ovvero in un’ora spaziare dalla freschezza più nordica del Montepulciano d’Abruzzo Il Feuduccio ai cespugli di mirto e lentisco del Senes di Argiolas, passando per l’eleganza vellutata del laziale Fiorano (a breve un racconto su questo vino del cuore), proseguendo più a nord per scoprire un Montiano più snello ma di grande eleganza e chiudere con un’Umbria raccontata dalla finezza del Riserva Vigna Monticchio di Lungarotti e dalla potenza tannica del 25 anni di Arnaldo Caprai.

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4 Luigi Moio

L’incontro con Luigi Moio nel suo stand di Quintodecimo e l’assaggio dei suoi 6 vini, 3 bianchi e 3 rossi, espressione netta del territorio irpino. Falanghina, greco e fiano prima, tre sfumature di aglianico poi, il Terra d’Eclano e i due cru Vigna Grande Cerzito e Vigna Quintodecimo. Ma soprattutto le chiacchiere con lui sul suo ultimo libro, Il respiro del vino (Mondadori), eccezionale racconto sui profumi del vino, tanta chimica spiegata con la semplicità e la chiarezza di chi conosce a fondo la materia e sa come comunicarla.

5 I vitigni meno noti del Piemonte

Un breve tour insieme a Paul Balke, degustatore olandese adottato dalle Langhe, nel padiglione del Piemonte tra i vitigni meno conosciuti della regione del nebbiolo per scoprire l’esistenza di uvalino, malvasia moscata e doux d’Henry.

6 A pranzo da Allegrini

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Un pranzo tra le immagini bucoliche dello stand di Allegrini. Cucina Bobo Cerea (Da Vittorio 3 stelle Michelin), mentre Marilisa Allegrini e la figlia Carlotta ci raccontano della tenuta toscana di Bolgheri, Poggio al Tesoro e del leit motiv di quest’anno, In vino habitat. Ovvero una filosofia green in cui il vigneto torna ad essere luogo vitale in cui coesistono e dialogano paesaggi, uomini e animali.

7 I vini di Decugnano dei Barbi

Fermarsi allo stand di Decugnano dei Barbi, ovvero Mare Dentro. Ma non è il film di Alejandro Amenábar e nemmeno una suggestione. Nei vini di Enzo Barbi c’è davvero il mare. A volte mescolato alla nota speziata dello zafferano, a volte netto e salmastro come un’ostrica, nel Maris e nello spumante ad esempio, infine in un muffato da capriole per terra come il Pourriture Noble, un sorso di sole, sale e dolcezza.

8 Consorzio del Soave e del Durello

Passare al Consorzio del Soave e del Durello dove il direttore Aldo Lorenzoni una ne fa e cento ne pensa. Vulcanico come il territorio che rappresenta stavolta propone, insieme alle etichette del Soave, anche degli occhiali per la realtà aumentata in grado di portare, anche se in maniera virtuale, tra le colline di questa area vocata del Veneto. Per la realtà non virtuale a breve ci saranno le anteprime. Intanto chiudo il Vinitaly con un Durello pas dosé 60 mesi di Matteo Fongaro, punta della denominazione.