Dove gli slogan delle onlus, gli stilemi alla Eurodisney e la potenza visiva dei manifesti delle Regionali si incontrano. Magari non ve ne siete accorti, rapiti com’eravate da sali dell’Himalaya, cumini berberi e polente eco-sostenibili. Forse non ci avete riflettuto, annebbiati da un Cesanese chilometri zero e circonfusi dall’olezzo di caciucco che aleggia fino a Rocco giocattoli. Probabilmente in fondo neanche vi importa, perché quello che volete è gustarvi la vostra permanenza al Mozzarella bar e scegliere fra 23 varietà di Weiss. In ogni caso, noi siamo qui per dirvelo: Eataly è un bombardamento di segnali, cartelli, slogan, opuscoli, tovagliette, pannelli e volantini. Roba da far impallidire la propaganda maoista. Farinetti e i suoi uomini hanno un sacco di cose da dirci, e il modo in cui hanno scelto di comunicare è davvero notevole.
Oltre a farci mangiare-bere-stare insieme sotto ai neon-comprare italiano- farci scoprire nuovi sapori e risvegliare antichi e inestimabili regionalismi, rincorrere i chilometri zero macinando distanze che neanche da Ikea, Oscar e compagni ci tengono da matti a simpatizzare, nel senso greco del termine. Vogliono starvi vicino, farvi sorridere, e condividere con voi sturm und drang della vostra esperienza nel loro paradiso del palato.
La prova: da quando varcate la soglia del tempio del gusto, non vi mollano un attimo, seguendovi dal reparto insaccati fino agli sgabelli di degustazione del crudo, passando perfino per il gabinetto (voi forse non lo sapete ancora ma, quando si è confidenza, le toilettes si chiamano così).
Aldilà del merchandising tutto sommato innocuo da festa dei Verdi, da Eataly trovate:
– T-shirt ammiccanti
– Massime epicuree
– Strizzatine d’occhio parascolastiche alla Giobbe Covatta
– equilibrismi linguistici che neanche Biscardi
– Slogan rubati alla Valsoia.
– Motti dannunziano-precari
– Incoraggiamenti social-proditori
– Inviti da dopolavoro dei Beni culturali
– Benvenuti letterari a chilometri zero.
– Sillogismi da customer care che avrebbero confuso perfino quella buonanima di Mario Magnotta.
Più che con le immagini, da Eataly si comunica con le parole.
La cosa in fondo non ci dispiace, perché quando nel reparto comunicazione i grafici accoppano i copy, ci troviamo davanti cose come:
– le mappature megalomani-dittatoriali alla dottor Stranamore
– l’agghiacciante mappa dell’Italia-bistecca
Nel complesso, gli aggettivi che potrebbero riassumere le generali intenzioni comunicative di Farinetti sono: moderno, familiare e accattivante.
Steve Jobs incontra Mike Buongiorno, per intenderci.
Inspiegabilmente (?), la categoria che racchiude la nostra personale, massiccia esposizione a tutto questo è un misto di fastidio e incredulità sintetizzabile nella parola “imbarazzo”.
Non ci dilunghiamo oltre, e vi lasciamo liberi di scoprire gli altri, innumerevoli segnali eataliani (ecco creato il prossimo slogan?) alla vostra prossima visita (ci andrete, ci andremo, sì, come prima o poi torniamo da Ikea, o come continuiamo ad andare in ferie la settimana di ferragosto). Ma, a costo di uscirne profumati alla paranza, fermiamoci un attimo e cerchiamo di rispondere alla seguente domanda:
cosa sta cercando di dirci un posto in cui troviamo cartelli come questo?
(Qualcuno deve, se non protestato, quantomeno aver richiesto delucidazioni in merito alla scelta della parola “gabinetto”, perché, in un ennesimo pannello, quelli del reparto comunicazione si sono presi la briga di specificare)
Barthes ci avrebbe scritto un saggio.
Ed Ruscha avrebbe inaugurato un’apposita serie di dipinti testuali.
Thom Yorke avrebbe senza dubbio composto una Fitter Happier 2.0.
Matt Groening ci avrebbe ambientato una puntata in cui Homer viene assunto alla friggitoria e, stregato dalla propaganda post-moderna di Farinetti-Burns, entra far parte di una setta segreta di cannibali equo-solidali. (Lo salva Lisa insieme a un gruppo di attiviste lesbo-vegane).
Noi compriamo etti di fave di cacao della Guinea, l’ennesima sacca di tela grezza, e ogni tanto ci sembra anche di vivere meglio