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Mercato Centrale di Milano, cosa si mangia e perché andarci.
Milano: 4.500 metri quadri
Torino: 4.500 metri quadri
Firenze: 3.000 metri quadri
Roma: 2.000 metri quadri
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Già questi dati danno l’idea delle dimensioni dell’attesissimo (nel senso che l’apertura è stata rinviata più volte causa Covid) Mercato Centrale di Milano, inaugurato a settembre 2021. Uno spazio enorme, disposto su due livelli, tutto in lunghissimi corridoi densi di botteghe, gastronomie, ristoranti. C’è anche un dehors coperto (e uno più piccolo coperto). Il colpo d’occhio di domenica è impressionante: migliaia di persone si accalcano nello spazio, a dare l’idea della “fame” di locali maturata in questi mesi e della voglia di novità.
Ma com’è questa nuova creatura di Montano? Difficile dare conto di tutte le attività incluse, visto che si tratta di ben 29 botteghe. La scelta, come negli altri, è quella di privilegiare i nomi dei titolari e degli chef e non quello delle attività commerciali. Un modo per rendere più “umane” le botteghe, anche se questo rende un po’ difficile l’identificazione delle attività. Qui avevamo già anticipato cosa ci sarebbe stato. Qui vi diamo l’elenco completo.
Le botteghe del Mercato Centrale di Milano
Vincenzo Santoro – la pasticceria
Enrico Lagorio – l’hamburger di chianina
Luigi Moretti – la birreria
Alessio Leporatti – la scuola di cucina
Ruggero Orlando – la cucina di pesce
Piero e Luca Landi – il ristorante
Sergio Barzetti – il riso
Marco Bruni – la gastronomia genovese
Alessio Bertallot – il laboratorio radiofonico
Flavio Angiolillo – il cocktail bar
Giacomo Trapani – il bollito e il lampredotto
Jérémie Depruneaux – il fish bar
Davide Longoni – il pane e i dolci
Riccardo Ronchi e Edoardo Patrone – il cioccolato e il gelato
Rosalba Piccinni – i fiori e le piante
Cesare Cacciapuoti e Nicolò De Gregorio – il succo e il verde
Agie Zhou – i ravioli cinesi
Tannico – l’enoteca
Joe Bastianich – l’american barbecue
Giovanni Mineo e Simone Lombardi – la pizza
Andrea Collodi – la pescheria
Famiglia Michelis – la pasta fresca
Luciano Savini – il tartufo
Mattia Giardini e Alberto Iossetti – il mulino
Tommaso Carioni – il caseificio e il mercatino biologico
Alessandro Baronti – il girarrosto
Fausto Savigni – la carne e i salumi
Sabato Sessa – la sfogliatella napoletana
L’esperienza è un po’ traumatica, abituati alla quiete e alla sobrietà da pandemia. Gli spazi sono stretti, perché si sviluppano tutti in lunghezza. Alla fine il Mercato risulta essere più ricco di quello di Roma, ma meno compatto. Meno bello di quello di Firenze, che resta il più arioso e divertente. Ma più vitale di quello di Torino.
Nel Mercato milanese si riprende la grafica già inaugurata nelle altre città, rendendo più radicale la scelta di usare manifesti e disegni che rimandano a cartoon e che vorrebbero, come già per i nomi, umanizzare gli spazi, per evitare l’effetto mensa.
La qualità delle botteghe è alta, anche se in molti casi si paga un pegno alla popolarità mediatica o di mercato. Vedi Joe Bastianich, con il suo barbecue, o l’enoteca di Tannico, che sul modello di Amazon, ha deciso di radicarsi sul territorio e di materializzarsi fuori dal sito. Si poteva fare meglio, si poteva scegliere piccoli produttori ed enoteche di qualità, ma il business ha le sue regole. Naturalmente di botteghe di qualità ce ne sono molte e uno dei pregi è la possibilità di spaziare anche nelle gastronomie, con qualche riferimento anche gli etnici.