Fauno Azienda Agricola: storia di tre ragazzi che si trasferiscono da Ostia ai Monti Aurunci per coltivare un bosco

Fauno Azienda Agricola. “Quando mi affacciavo ad Ostia c’era un muro di palazzi. Ora vedo solo questo” ho sentito dire a Samuele mentre mi indicava con il braccio le colline davanti casa sua. Una casa comprata e ristrutturata pezzo dopo pezzo, nel mezzo dei Monti Aurunci. Siamo vicino a Pico, nel comune di Frosinone, in un triangolo tra Fondi, Ceprano e Cassino, ma il mare non è lontano. Per arrivare qui ci vogliono un paio d’ore da Roma, 40 minuti da Frosinone. Le strade si inoltrano per colline e montagne che non superano mai i 1500 metri tra ettari di boschi di querce, faggete e aceri. Non dirò “incontaminati” perché ormai sulla terra di incontaminato c’è rimasto ben poco. È bene che ne prendiamo coscienza.

Trasferirsi qui da Ostia per Samuele (33 anni), sua sorella Martina (28), e Marco (33), fidanzato di Martina, non deve essere stato banale. Eppure per una serie di ragioni si rivela una scelta vincente. Succede nel 2015: allora Samuele si occupa di grafica pubblicitaria e musica elettronica, Martina fa la segretaria e Marco lavora all’Avis. “Eravamo impazziti di lavoro e abbiamo pensato di andare fuori” mi racconta Samuele. “L’agente immobiliare è rimasto molto stupito quando abbiamo detto che volevamo comprare questa casa. Qua sembra una bolla temporale: non c’è il telefono, non c’è il wi-fi. È rimasto tutto così: grezzo. Dal 2010 al 2015 ci siamo formati e appassionati di temi agricoli, ma non c’erano ancora informazioni accessibili come adesso. All’inizio era tutto in inglese. Coltivavamo in balcone e facevamo formaggi a latte crudo in casa. Una follia”.

In effetti un po’ di pazzia ci deve essere stata. Ho conosciuto tante persone che hanno lasciato la propria vita per dedicarsi all’agricoltura in contesti rurali, di molte di loro ho anche scritto. In questo caso ho trovato un trio particolarmente a proprio agio nella nuova dimensione, per niente nostalgico della vita precedente. Si direbbe quindi che si tratti di una vita di campagna da idillio: per capire che non è così bisogna andare fisicamente a Pico e farsi un giro per i terreni guidati dai ragazzi del Fauno, che hanno scelto questo nome in omaggio alla divinità italica protettrice di boschi e allevamenti.

Prima di tutto, come per altre zone agricole italiane, si tratta di un terreno terrazzato e circondato da bosco su tutti i fronti. I ragazzi acquistano negli anni piccoli pezzi che si aggiungono alla loro proprietà iniziale, composta da una sola casa a cui manca anche il riscaldamento. Col tempo comprano una seconda casa adiacente a cui rifaranno il tetto e altri lavori di manutenzione. Tutto intorno una terra coltivata 50 anni prima, poi abbandonata a causa dello spopolamento delle campagne e delle evidenti difficoltà di portare qui un modello semplificato di agricoltura. In questo tipo di terreni è impossibile coltivare con i macchinari, i pezzi coltivabili sono pochi, corti e stretti. Se ci sono sassi da rimuovere, vanno spostati a mano, per portarci l’acqua ci vuole un pozzo o una cisterna. Se si pensa all’agricoltura come a una distesa di serre o campi coltivati modello Agro Pontino o pianura Padana si va decisamente fuori strada. E questo vale per molta parte d’Italia, vista la sua orografia.

“Più che un’azienda agricola, questa per noi è una piccola fattoria. Agricoltura, apicoltura, qualche capra da latte, frutta antica, olio d’oliva, raccolte di erbe spontanee: sono queste le cose che abbiamo portato nel nostro ettaro di terreno. È un modello preso da realtà agricole preindustriali, che ci aiuta a pensare all’agricoltura come un sistema. Il nostro terreno è piccolino, terrazzato con muretti a secco. Stiamo cercando di rimodernizzare con un percorso più agibile. All’inizio non avevamo nemmeno il terreno. Per cui la nostra realtà si è sviluppata soprattutto nell’ultimo anno e mezzo. Siamo ancora in fase di sviluppo” spiega Samuele.

Nelle terrazze c’è posto per diverse attività: dal recinto delle capre al terreno con funghi e verdure di stagione, dagli alberi da frutto alle galline, dalle casette per le api agli oltre 200 olivi secolari. “Il progetto finale è che tutto l’ettaro sia coltivato, integrando gli animali che abbiamo in casa e le attività agricole”. Quando Samuele parla di agricoltura preindustriale, si riferisce a diversi modelli di coltivazione come la permacultura, l’agroecologia, l’agricoltura forestale e l’agricoltura sintropica.

Mi soffermo su quest’ultima perché se ne parla poco: questo sistema, creato dal ricercatore svizzero Ernst Götsch, prevede di replicare i meccanismi di funzionamento e sviluppo di una foresta, adattando lo spazio secondo le diverse tipologie di piante, pioniere, secondarie e primarie o perenni. È  un’agricoltura che permette di rigenerare e attivare la biodiversità di territori resilienti o degradati da precedenti interventi agricoli, portandoli a un alto livello di produttività con metodi naturali. Tramite le parole di Samuele: “La nostra progettazione si sviluppa emulando il bosco. Facciamo finta di partire da un disastro climatico: da qui pianifichi piante che riproducono un sistema boschivo, inserendone una percentuale commestibile e una percentuale che permette all’ecosistema di andare avanti da solo, come le querce e gli eucalipti. In poche parole emuli la funzione di un bosco accelerandone i processi, accumulando in un anno l’humus che nel bosco si accumulerebbe in 10 anni. Se tu entri qua nel nostro terreno, è tutto commestibile. C’è l’albero di Giuda che è azoto fissante. Abbiamo pistacchio selvatico che è da taglio e da legna. Ulivi, fichi, pere, mele”. E potremmo andare avanti a lungo.

L’obiettivo, da raggiungere con molta pazienza e costanza, non è solo la produttività del terreno, ma anche una stabilità economica. “Questo non è un hobby. Se non vendiamo, ci staccano la luce. L’importante è che oltre al guadagno ci sia un benessere”. Da qui frequentano nel fine settimana i mercati contadini dei Castelli Romani per la vendita diretta, fanno spedizione tramite posta per prodotti non deperibili e consegne in tutta Roma. Prima del Covid c’erano anche laboratori per la raccolta e il riconoscimento delle oltre 60 erbe spontanee censite su questo suolo.

Infine organizzano raccolte personalizzate per ristoranti di Roma e della zona: Marigold, Sintesi, Zia, Roots, Moi e molti altri. “Però la cosa che ci piace è non esagerare con le nostre proposte. Abbiamo un contatto diretto con le cucine, sono tutte persone con cui ci troviamo bene” ricorda Samuele. Intanto Martina realizza saponi e spugne. Ci sono anche formaggi, olio, uova. Sulla terrazza hanno apparecchiato un tavolo sotto un pergolato: è una prova tecnica di ospitalità. In cantiere c’è il progetto di usare la seconda casa per accogliere turisti e famiglie. Se riusciranno ad arrivare senza perdersi, si troveranno a vivere come facevano i nostri nonni prima di rinunciare a tutto e trasferirsi in città.

Fauno Azienda Agricola. Parco dei Monti Aurunci, Pico (FR). Sito. Pagina Facebook. Pagina Instagram

[Foto di Andrea Di Lorenzo]