Comunità Rurale Diffusa, tra Lazio, Toscana e Umbria i produttori che difendono la terra dalle multinazionali

Comunità Rurale Diffusa, Lazio Toscana e Umbria. La Comunità Rurale Diffusa nasce nel 2017. In quell’anno un gruppo di persone sparse in un territorio compreso tra il Lago di Bolsena fino all’altopiano dell’Alfina, dal Peglia ai Monti Cimini, dalla Maremma all’Orvietano, decide di riunirsi in modo stabile per fare rete, generando, sulla base di principi e valori condivisi, una comunità sparsa su un’area piuttosto ampia e con una storia antichissima.

La storia comincia anche qualche anno prima, quando alcuni amici e conoscenti cominciano a chiedersi se sia necessario costruire qualcosa di radicato su quel territorio, per generare un rapporto di comunità, di aiuto sul lavoro. Gli amici invitano altri amici, alcuni arrivano da altre zone d’Italia, tutti condividono un’idea di vita alternativa a quella metropolitana. Sono coltivatori, produttori, curiosi, semplici abitanti di questa zona che credono nella necessità di costruire un progetto che dia alle persone che ne fanno parte una rete ben ancorata al territorio, accesso a un cibo buono, vicino per prossimità, diretto, senza intermediari, veicolo per tessere delle relazioni.

Nel 2017 il primo incontro “in veste ufficiale”. Di quell’appuntamento rimane un foglio dove ciascuno dei presenti ha scritto perché ha deciso di partecipare. Perché in primis la campagna, per chi la vive, per chi la lavora, è un ambiente meno poetico di come la vede chi vive fuori. Ti mette alla prova, nel lavoro come nelle relazioni sociali, ti risucchia, talvolta ti isola. Tra i partecipanti a quegli incontri ci sono piccole realtà contadine, che lavorano totalmente in proprio all’interno di un unico nucleo familiare e che vogliono stringersi in un sistema di scambio reciproco, di competenze ma anche di attrezzature, che le sottragga dall’isolamento.

Le realtà crescono nel tempo, contando ad oggi circa 50 unità, tra aziende, famiglie e singoli individui che contribuiscono alle attività e alla crescita di questo organismo che stabilisce nel mercato il suo principale momento di rappresentazione. La Comunità Rurale Diffusa crea infatti un mercato itinerante di territorio dove vendere non solo prodotti, ma creare anche iniziative, intrattenimento e partecipazione. Tra questi interventi, ci sono molte azioni a presidio di quest’area, in particolare contro le monoculture dei noccioleti e gli impianti geotermici. Una lotta quasi titanica tra piccoli difensori del territorio e aziende grandi come multinazionali. E’ proprio questo l’elemento che definisce il carattere “rurale” della Comunità.

Per fare parte della Comunità, si ricorre a un sistema di Garanzia Partecipata. Esiste un regolamento, ogni produttore sottoscrive un’autocertificazione con la presentazione della propria azienda che viene convalidata dalla visita degli altri membri. Al mercato si arriva con ortaggi naturali, pane con diversi tipi di farine, formaggi di pecora, capra e mucca, affettati, miele, marmellate e conserve di diverso tipo, vino, olio di semi di girasole e di canapa, legumi e zafferano. Poi lezioni di yoga, musica e artigianato. Parallelamente al Mercato, c’è la creazione di un Gruppo di Acquisto Solidale a Bolsena che include anche prodotti che la Comunità non riesce a garantire, come agrumi, carta riciclata, riso. “Vogliamo riportare le persone al cibo e a come viene fatto, vogliamo che non abbiamo più motivo di mettere piede in un supermercato” è una delle dichiarazioni d’intenti della Comunità.

Le realtà che compongono la rete sono tante e, facendo affidamento sulla forza del gruppo, non hanno interesse nell’emergere come individualità. Nel sistema della Comunità si racchiudono quindi storie di persone che hanno trovato il modo di incontrarsi proprio in questa porzione di terra tra Lazio, Toscana e Umbria. Come Federica e Francesco, che sono nella Valle di Civita, sotto Bagnoregio, da 5 anni. “All’inizio eravamo a Gradoli, sulle colline Nord Occidentali del Lago di Bolsena, in un terreno e in una casa in affitto. Poi siamo ritornati nella casa di famiglia, che intanto era diventata la seconda casa”. Qui, sui calanchi, Matilde Coltiva, produce ortaggi e olio secondo natura nella convinzione che “in un territorio devastato è impossibile fare agricoltura biologica”.

Stesso discorso per Elisa. In questo caso nasce prima il percorso all’interno della comunità che l’azienda, Malauva. “Io e mio marito Giovanni abbiamo comprato questo terreno, dove facciamo vino e una piccola produzione di olio, dopo aver cercato parecchio in zona. Abbiamo cominciato a produrre e a vendere nel 2018, senza aver mai fatto vino prima. Dopo la laurea avevamo lavorato in alcune aziende del Centro Italia, ma per noi rimaneva centrale diventare produttori, non essere dipendenti”. Il primo vino arriva un po’ per gioco, con fermentazioni spontanee, senza lieviti, con l’obiettivo di portare un frutto in cantina completamente sano, che equivale a lavorare duramente sul campo. A Castelgiorgio, a 20 minuti da Orvieto, oggi si fanno 3 bianchi e 1 rosso. Nel 2019 le bottiglie sono 3mila, nel 2020 arriveranno forse a 5mila. “Per noi è importante, fondamentale, che un territorio sia lavorato dalle persone che lo vivono, altrimenti diventa un deserto ambientale e culturale”.

E poi c’è Eleonora, che nella sua azienda ospita ogni terzo sabato del mese il Mercato della CRD. Un inizio un po’ in sordina, per lei che aveva già provato la strada dei mercati, con qualche delusione. “Questo processo nasce ben prima della necessità di vendere un prodotto, di attrarre il turista o il radical chic della domenica col mercatino. E’ un modo di fare rete e relazioni che permette anche ai produttori di aiutarsi, senza farsi concorrenza”. La sua azienda agricola, Janas, che si trova in zona Colle Ombroso, a Porano (dal Lago di Bolsena, circa 30 minuti), si muove da sempre nel campo dell’agricoltura sociale coltivando grani storici italiani. “Mio nonno era sardo ed era lì che coltivava il grano. Il mio primo approccio all’agricoltura non poteva che essere da sognatrice, chiedevo in giro, cercavo di confrontarmi con esperti che nel frattempo mettevano in campo grani che non interessavano a nessuno.  E così abbiamo cominciato anche noi, a duplicarli e a diventare punto di riferimento per altri che volevano imparare”. Non c’è un mulino di proprietà o pastificio. Ma c’è un ristorante agricolo, la Locanda di Colle Ombroso, in cui vengono cucinati prodotti dell’azienda, della comunità e di produttori locali con l’obiettivo preciso di usare i piatti per far conoscere il prodotto in modo più semplice.

Oltre a queste voci, ce ne sono tante altre a comporre questa realtà. Per conoscere tutta la rete, si possono seguire le iniziative della Comunità Rurale Diffusa sulla loro pagina Facebook qui.