Comprare italiano, tornano il cibo made in Italy e il sovranismo alimentare (alias autarchia)

pomodori

Comprare cibo made in Italy, tornano il cibo made in Italy e il sovranismo alimentare (alias autarchia). Ciclicamente, i sovranisti nostrani ripropongono il mantra apparentemente chiaro ed evidente: comprate cibo italiano. Perché “è più buono“, si spiega, perché bisogna aiutare l’economia italiana, perché diamo una mano gli italiani. Tutte motivazioni che, in un mondo iperglobalizzato che intreccia competenze e relazioni economiche, risultano opinabili in tempi di normale vita quotidiana. Ma durante l’emergenza coronavirus, ecco che si ripropone la logica, non solo da parte delle destre di Lega e Fratelli d’Italia, ma anche da parte del Movimento 5 Stelle, a cominciare dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio.

La ricetta, insomma, sarebbe autarchia, se non protezionismo. Matteo Salvini ci aveva già provato, senza ricevere ola di entusiasmo, spiegando di non mangiare più Nutella perché fatta con nocciole turche. Inutile spiegargli che le nocciole italiane non bastano e non servono neanche di qualità eccellente per fare la famosa crema spalmabile e quindi la Ferrero non ha alternative.  Ecco come ha risposto, ironicamente,  Mattia Feltri sulla Stampa, commentando un’analoga proposta di qualche giorno fa di Paola Taverna: “Compriamo olio italiano. Poi magari le olive le abbiamo importate dalla Tunisia e parte dei soldi della spesa se ne va in Africa, ma son dettagli. Comunque: niente würstel e più mortadella, sebbene probabilmente abbiano usato maiali polacchi o ungheresi. Taverna ignora che se acquista un Chianti è facile che la bottiglia sia stata fabbricata da una società dell’Illinois e il turacciolo con sughero portoghese. Poi, certo, la Coca cola è americana, ma imbottigliata a Catania o Verona da operai italiani. Vogliamo farli licenziare? Ok, niente Nike e ai piedi scarpe italiane, confezionate nel novantacinque per cento dei casi con pelli provenienti da Australia, Nuova Zelanda o Brasile. Mi raccomando, solo camiceria italiana, tessuta col cotone cinese. Insomma non ci resta che affidarci, chessò, a pere del Veneto, indubbiamente del Veneto, magari contenute in vaschette di polistirolo lituane, avvolte in pellicola tedesca, distribuite da trasportatori rumeni in supermercati di proprietà francese e pagate a un cassiere vietnamita”.

Come a dire, il mondo è ormai così complesso – globalizzato era la parola che andava di moda negli ultimi anni – che non ha più molto senso distinguere ciò che produciamo noi e quello che viene prodotto all’estero. Peraltro con la filiera di prodotti da fuori guadagnano e vivono decine di migliaia di italiani. Non solo: sono molti i marchi italiani venduti all’estero o che sono entrati in grandi multinazionali, e quindi risulta difficile distinguerli, come scriveva in divertente bel pezzo Stefano Benni.

Detto questo, l’invito, in ogni periodo tranquillo o turbolento, dovrebbe essere quello di diventare consumatori consapevoli. Di informarsi, capire cosa si compra e perché. Non accettare di acquistare prodotti – italiani o stranieri – dai prezzi palesemente troppo bassi, perché questo significa scarsa qualità e scarso rispetto dei lavoratori della filiera. Vuol dire scegliere produttori più che prodotti, conoscendo il valore di quello che si fa. Vuol dire scegliere e sostenere artigiani, piccoli imprenditori, lavoratori che hanno il controllo del prodotto che non è serializzato. E di preferire italiano, quando ha senso. Quando i prodotti italiani di qualità ci sono e comprarli all’estero è funzionale solo a un risparmio economico. Da qui l’appello anche del presidente della  Coldiretti Ettore Prandini che sottolinea «l’importanza di sostenere lo sforzo degli agricoltori e degli allevatori per assicurare le forniture alimentare al Paese» e aggiunge: «Chiediamo a supermercati, ipermercati e discount di privilegiare negli approvvigionamenti sugli scaffali le mozzarelle con il latte italiano al posto di quelle ottenute da cagliate straniere, salumi ottenuti con la carne dei nostri allevamenti, frutta e verdura nazionale ed extravergine Made in Italy al 100%». Con tutti i limiti a cui si accennava prima.