Visintin e il corso Scrivere di gusto: “Zero competenza e zero deontologia, è ora di studiare”

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Visintin e il corso Scrivere di gusto. “Il settore del food oggi è uno dei pochi che non è in crisi. C’è un seguito straordinario, ma spesso chi se ne occupa non conosce le regole deontologiche“. Non ha dubbi Valerio Visintin, il critico gastronomico del Corriere della Sera il cui viso conoscono in pochissimi. Una questione di etica del lavoro, per evitare di essere riconosciuto e finire coinvolto conflitti d’interesse. Una tecnica usata da anni e condivisa da Puntarella Rossa, tanto che in tempi non sospetti, nel 2014, questo sito e Valerio scrissero insieme “Il manifesto del recensore incappucciato“.

Visintin, insieme all’agenzia editoriale Lorem Ipsum, è tra gli organizzatori del nuovo corso di critica gastronomica etica Scrivere di Gusto che si pone tra gli obiettivi di sviluppare soprattutto la coscienza etica dei giornalisti e blogger che scrivono di cibo. Le lezioni, organizzate come riunioni di redazione, prenderanno il via ad aprile. 

C’era bisogno di questo corso? E a chi si rivolge?
Nessuno legge più le critiche sui giornali. Hanno perso credibilità. Spesso sono scritte da chi non potrebbe, per conflitti d’interesse dovuti a amicizie, o addirittura ad affari in comune con gli chef si recensiscono. Sta crescendo una generazione di giornalisti e blogger che si occupano di cibo senza avere alcuna competenza: noi ci rivolgiamo a chi abbia voglia di imparare ancora qualcosa”. 

Cosa non va in questo settore?
“Dal lato giornalistico, bisogna parlare con cautela e senso critico delle novità: il giudizio è più importante della sola notizia della nuova apertura. Per quanto riguarda invece le aziende, i soldi per far girare il settore ci sono, ma vengono investiti in maniera sbagliata: spesso le ditte pagano influencer perché non riescono a ottenere visibilità in fasce più alte, ma sarebbe molto più utile destinarli a iniziative che possono restituire un’immagine etica del marchio”. 

Il linguaggio della critica è stato soppiantato da quello immediato dei food blogger?
“I critici che non legge più nessuno, oltre ad aver rovinato la reputazione di un’intera categoria, si occupano soltanto di una certa fascia di ristoranti, quelli stellati. E poi per scrivere bene non ha senso scrivere in maniera complicata“. 

Mangiare bene è diventato pop?
“Paradossalmente, nonostante non si sia mai parlato di cibo quanto oggi, la Federazione dei pubblici esercizi ha stimato che il pasto medio non dura più di 20-30 minuti. La ristorazione segue questo trend, proponendo piccole cose da mangiare in fretta: in realtà, le conoscenze sulla materia non sono aumentate. A questo si aggiunge la bassa disponibilità economica del momento storico. Dove ci sono meno soldi, le abitudini si adeguano”. 

Neanche i programmi televisivi o i cuochi-star aiutano a migliorare la conoscenza?
“Alcuni programmi sono solo la versione adattata alla cucina dei talent come X-Factor. In più non mi piace che si promuova la violenza verbale di chi giudica, creando eroi negativi che non sono sani. Manca un programma di informazione e approfondimento sul cibo, un intrattenimento su misura. Anche i cuochi-star sono personaggi studiati, che può essere un fatto drammatico perché perdono di vista la loro funzione, dare un servizio al cliente: questo atteggiamento spesso si riflette nei piatti. Ma l’arte concettuale non funziona al ristorante”. 

Milano è stata spesso elogiata come centro dell’innovazione in campo culinario. È d’accordo?
“La fertilità delle nuove aperture non è per forza un buon segno. Molte insegne sono finanziate da organizzazioni malavitose, ormai la proporzione si aggira sui due ristoranti ogni cinque.  Pure sulle grandi firme è legittimo qualche sospetto, anche per mere ragioni statistiche. In più, non si può parlare tutte le volte di innovazione: si è innovativi se si interviene sulla realtà, altrimenti si tratta soltanto di una novità”.

Il corso Scrivere di Gusto si tiene da aprile a luglio 2019. Qui il programma completo.