Salvatore di Matteo Le Gourmet a Roma, un clima cordiale e accogliente: “Cancelli quelle foto”

Salvatore Di Matteo Le Gourmet a Roma: “Cancelli quelle foto”.

Amici, vi scrivo per raccontarvi un episodio spiacevole. Non so se se ne possa trarre una qualche morale, ma forse vale per raccontare come va il mondo, quello enogastronomico ma non solo. Succede che il vostro cronista decida di provare questa nuova pizzeria autodefinitasi gourmet, ben nota nella sua patria d’origine, Napoli. Come accade sempre più spesso, il pizzaiolo di una volta è diventato, con mutazione genetica improvvisa, Chef. E non si accontenta di sfornare pizze di qualità, ma le fa gourmet. Al locale che una volta era una pizzeria dà, non troppo modestamente, il suo nome. Salvatore di Matteo Le Gourmet. Niente di male, è il segno dei tempi. Lo fanno in tanti e Salvatore Di Matteo ha raggiunto una fama, almeno nell’ambiente, che gli consente di usare il suo nome con orgoglio. Come altri suoi colleghi artisti gourmet, vedi Gino Sorbillo e altri, ha deciso di sbarcare nella Capitale. Ed eccoci qui, in via Colonna, dove un tempo sorgeva Splendor Parthenopes, le cui ambizioni sono state stroncate rapidamente dall’impatto con la realtà.

Munito di buone intenzioni, una penna e un cellulare – strumenti indispensabili per chi voglia fare questo mestiere disgraziato e maltrattato – il vostro cronista, che nell’occasione non è nient’altro che un cliente affamato, naturalmente non si presenta come cronista. Come l’amico Valerio Visintin e pochi altri, a lui piace stare tranquillo, non mettere in affanno il personale e non farsi influenzare. Gli piace mangiare, guardarsi intorno, appuntarsi cose che paiono significative, fare qualche foto all’ambiente e al menu, scambiare due chiacchiere con il personale. Gli piace persino pagare (quello un po’ meno, ma s’ha da fare) e poi provare a raccontare quel che ha visto e mangiato, con il massimo di onestà intellettuale che gli consentono i suoi limiti. Nella speranza di fare un buon servizio al lettore, suo unica luce, suo unico dio. Perché ogni volta che il cronista viene approcciato da qualcuno che gli dice: “Ho mangiato davvero male in quel posto che hai consigliato”, si sente tremendamente in colpa e gli viene fame da senso di colpa e mangia junk food e ingrassa.

Così, il vostro cronista chiede un tavolo, subisce le solite occhiate non troppo benevole di chi mangia solingo e si siede a metà sala, con vista sul bel bancone con forno. Dopo qualche minuto di attesa, nel quale un nugolo di camerieri, tutti maschi, gli ronzano attorno senza portargli il menu, lo ottiene alfine e comincia ad osservarlo. Per ricordarsi i piatti più significativi e i relativi prezzi, il cronista è anziano e stanco, fa qualche foto discreta al menu. Ma il personale incombe e ronza infastidito. Prima si avvicina un ragazzo, che chiede cosa si vuole ordinare. Il cronista chiede tempo, “un attimo di pazienza, do un’altra occhiata. Intanto prenderei una birra“. Un’occhiata alla pagina delle birre. Ed ecco il florilegio di luppoli della Poretti. Soprassendendo sulla luppolatura, si chiede la differenza tra la chiara e una “stagione”. “Eh, quella di stagione è di stagione“, risponde il ragazzo con un esercizio di tautologia poco consono al suo ruolo. Ottimo, pensiamo. La spiegazione ci soddisfa fino a un certo punto, ma andiamo oltre. Non fa in tempo ad arrivare la birra, che un altro cameriere si fa sotto. Cosa ordina? Lo guardo e sto per ordinare quando lui dice, con tono non conciliante: “Qui è vietato fare le foto“. Eh?, rispondo interdetto. In che senso? “E’ vietato”. Dove c’è scritto? “Non si può. Anzi, faccia una cosa le cancelli subito e mi faccia vedere che le ha cancellate“. Pregooo? Mi sta ordinando di cancellare le foto? Ma si rende conto di quello che sta dicendo? Lo guardo, sbigottito: neanche in zona di guerra, neanche nel fortino dei Casamonica o sulla scena di un crimine cancellerei una foto. E dovrei cancellare due foto del menu di una pizzeria?  Il cameriere, o forse un responsabile di sala, ripete la frase ridicola. A quel punto ci alziamo, abbandoniamo la birra alla sua stagione e salutiamo, non senza dare un consiglio: “Se vuole, può chiamare la polizia“. L’uomo, un po’ in confusione, non riesce a pensare ad altro che alle foto: e quasi piagnucola: “Lei se ne va, ma ha le foto nel cellulare“.

Ecco, le foto, caro amico un po’ confuso, resteranno nel cellulare. Può stare tranquillo, non riveleremo nessun segreto industriale. Non faremo nessuno scoop clamoroso con la prova inoppugnabile delle “fritture firmate” (sic) dell’incolpevole (o no?) Di Matteo. Non so cosa le sia passato per la testa. Se ha pensato che volessi rubare gli ingredienti dei preziosi piatti – O Puparuolo ‘mbuttunato o la pizza pistacchiosa – per aprire a Pechino una copia perfetta della pizzeria “goulmet”. Se ha voluto punire un cliente che voleva farsi delle foto ricordo da pubblicare su facebook. O se invece ha voluto proteggere da un cronista indiscreto il menu della pizzeria.

Temo sia l’ultima spiegazione. Temo che non abbia voluto rivelare i prezzi, che sono sempre un particolare ingombrante, che è meglio non inserire in cartella stampa (non c’è, in effetti). Anche se la cosa è piuttosto ridicola, visto che è il 19 giugno e il locale è aperto dal 30 maggio. Temo che lei si sia infastidito all’idea che qualcuno possa decidere cosa e come fotografare, cosa e come raccontare. Temo che anche lei sia vittima di un mondo, quella della ristorazione che si autodefinisce gourmet e che ama le cene stampa, i comunicati autoincensanti, le marchette. Siete stati abituati bene, ma a noi piace diversamente. Ci piace mangiare, scrivere, fotografare, raccontare.
E invece stasera non si mangia. Ce ne faremo una ragione. Nonostante tutto, auguriamo a Salvatore di Matteo di avere una buona fortuna a Roma. La sua pizza sarà senz’altro ottima, come abbiamo letto nel comunicato stampa.

Per quanto ci riguarda, alla fine siamo andati a casa e ci siamo mangiati una bella pizza surgelata. Nell’eccitazione della libertà casalinga, l’abbiamo fotografata, provando un brivido di proibito. Faceva schifo, naturalmente, ma per levarci il sapore di una serata amara, ci abbiamo bevuto sopra un buon vino di stagione, qualunque cosa sia.