La pizza di Di Maio, Salvini e Conte
E’ sempre un magna magna, recita l’adagio prepopulista che da sempre definisce, a torto o a ragione, il giudizio del volgo sui politici. Fuor di metafora, anche i politici mangiano e non perdono occasione di farcelo notare, anche grazie a quella disgraziata invenzione che sono i social, nati giustamente per rimorchiare e ora diventati cassa di risonanza di proclami politici e sfogatoio di mediocri frustrati.
Negli ultimi giorni, nella passerella mediatica dei protagonisti di questa stagione sventurata sono comparsi i cartoni delle pizze. Giuseppe Conte, il professore con pochette, il premier più rapido del west, si è fatto immortalare con un cartone d’asporto.
Matteo Salvini, sovranista che adoro il big mac a stelle strisce, si fa fotografare con una pizza fumante e scrive: “Oggi pizza!, amici sto facendo di tutto per dare un futuro all’Italia” (non si può fare notare la virgola dopo il punto esclamativo, che sennò sei l’élite che verrà spazzata dalla ruspa del popolo).
Conclude la pizzata improvvisata Luigi Di Maio, che tornato a Napoli a ritemprarsi dopo le bastonate prese dal leghista, si butta sul comfort food per definizione. E va di selfie con una margherita, buttandola in politica: “Questa Oettinger se la sogna”. Della serie, non abbiamo un governo, stiamo precipitando nel burrone, lo spread ci azzanna al collo, ma noi abbiamo la pizza (mancavano solo il sole, il mare e il mandolino).
Insomma, l’auto rappresentazione in chiave gastronomica dei nostri politici è desolante. Siamo passati dalle orge di crostacei della Casta della vecchia repubblica alla frugalità cialtrona della nuova (la terza, la quarta, non si sa, si è perso il conto). Mai una volta che il cibo non sia solo il complemento scenografico dell’attività politica. Mai una volta che un politico si soffermi su un ristoratore di qualità, sull’importanza delle materie prime, sulla filiera e il lavoro di chi c’è dietro quel cartone. Mai una volta che si esca dal circolo vizioso del cibo come ostentazione di ricchezza, come status di privilegio, o, viceversa, come rivendicazione di vicinanza al popolo. Se il paradigma che ci racconta è l’élite sta con il caviale e il popolo con la pizza, non si fa un buon servizio a nessuno e il cibo viene svilito a strumento ideologico. Diceva il Guicciardini, in questa mirabile sintesi di sapienza popolare applicata alle élite: “Franza o Spagna, purché se magna“. Il problema è che il politico “magna” sempre male, senza passione, senza allegria, per pura brama di potere. Al popolo che chiede pane regala brioche, ma di plastica e surgelate.