Perché a Roma fa freddo anche quando non fa freddo: la tassa calore e il colbacco di Totò e Peppino

L’avete in mente tutti la scena di Totò e Peppino che arrivano in piazza Duomo a Milano, intabarrati in pelliccia e colbacco (in Totò, Peppino e la Malafemmina). Ed è un ritornello stranoto quello che indica nella differenza di clima tra Roma e Milano, un gigantesco punto a favore della Capitale (ma ce ne sono altri, altrettanto giganteschi, a sfavore).

Foto di Agnese Moroni
Foto Agnese Moroni

A dispetto del famoso libro di Giuseppe Marotta, “A Milano non fa freddo“, a Milano fa freddo. Ed è vero a Roma c’è il sole e spesso fa caldo. Solo che quando arriva l’inverno (sì, ammettetelo amici romani, arriva pure qui), Roma sprofonda in un freddo magari non glaciale ma diffuso. Perché, per motivi che saranno da indagare, a Roma (diversamente che a Milano) il riscaldamento è un lusso. Un optional. Un accessorio trascurabile. E così ti capita di entrare in un bar, confidando nel tepore rassicurante di un cappuccino e di un calorifero, e ti ritrovi dopo venti minuti con i brividini di freddo e il colbacco addosso come Totò e Peppino (è successo, per esempio, nel nuovo Analemma di Monti). Vai al cinema, cercando nei velluti delle poltroncine e nel buio della sala, quel calore che fuori non c’è e ti ritrovi a starnutire e a mandare accidenti (succede da anni, per esempio, al cinema Quattro Fontane).

Ora io vi chiedo, cari amici romani, gestori di esercizi pubblici: perché lo fate? Volete risparmiare? Considerate poco virile accendere i termosifoni? Siete rispettosi dell’ambiente e volete ridurre l’anidride carbonica nell’aria? Siete distratti? Siete stronzi?

Qualunque cosa sia, ripensateci. Mettetevi una mano sulla coscienza e accendete questi maledetti riscaldamenti. Se è necessario, siamo pronti a pagare di più il nostro cappuccino. Mettete una tassa calore, fate quello che volete, ma vi scongiuro. Dateci un po’ di caldo.