Le Coq

RISTORANTI ROMANI / MONTEVERDE Proprietaria torinese e cucina laziale: ma la vera sorpresa è lo chef

Via di villa pamphili, 35/c. Tel 06-58335146 www.osterialecoq.it

A un esponente del “nobile” partito della Padania questo posto non piacerebbe affatto. Ma, a pensarci bene, anche a un romano doc, specularmente ottuso. Per noi, invece, è un piccolo miracolo. Intendiamoci, non che Le Coq sia un’eccellenza tra i ristoranti romani. E’ semplicemente un buon ristorante, un locale aperto in un ambiente molto bello, di un’eleganza da campagna, rilassata, con piatti ottimi e altri meno riusciti. Ma c’è dell’altro. Quando entri, noti subito il nome francese (coq, gallo), e i cartelli che informano sull’uso di prodotti laziali tipici. E ci sono davvero, il pecorino di Picinisca, la fiacca della Tuscia, la ventricina di Amatrice e molti altri. La proprietaria è una giovane signora di Torino, Silvia Lia Battistel, sommelier dal 2005 e a Roma da otto anni. A chiedergli notizie dello chef sembra evasiva. Dice che è molto bravo, che è lì da poco, da un paio di settimane e parla d’altro. Ci vuole qualche minuto per rompere la diffidenza e fargli dire quello che voleva evitare, per timore della prevenzione altrui. “Sì, il cuoco non è di Roma, è del Bangladesh”. Il nostro stupore divertito la incoraggia. Racconta: “Avevamo uno chef romanissimo prima. Un disastro. Non sapeva fare neanche il guanciale croccante. E la gricia? Un brodino”. Tutt’altra pasta il nostro Ogit (non giurerei sulla grafia del nome). Niente byriani, niente curry qui da le Coq. “Il nostro chef ha fatto l’apprendistato da Arcangelo. E’ uno che si impegna, che studia. Chi dice che un romano sappia cucinare meglio di un bengalese la cucina romana? E’ stato lui a farci scoprire molti prodotti tipici laziali, lui a farci sostituire la pasta Setara con la Benedetto Cavalieri”. Silvia è torinese emigrata a Roma. Ogit è bengalese e induista. Il lavapiatti è musulmano. La cameriera polacca. I lampadari svedesi. Eccolo qui il paradiso del tanto celebrato e temuto melting pot. Tutto bene? “Una meraviglia – conferma Silvia – Certo le diversità non mancano. Per dirne una, lo chef, induista non mangia il manzo, la vacca sacra. I musulmani, invece, non mangiano carne di maiale”.
Io, peraltro, laico con i piedi ben saldi nel secolo dei Lumi, aborro i cavolfiori. Ce ne faremo una ragione e intanto procediamo con la cena.

L’AMBIENTE ›› Due sale arredate in stile campagnolo, boiserie chiara, soffitto di canne e file di lampadine para-natalizie, seggioline in vimini, tendaggi e le ben note (anche troppo) lampade a sospensione Ikea a palloncino. Il bianco domina e nella seconda sala, quella più naif si segnala una grande e criticabile fotografia formato poster orizzontale, con campi fioriti. Ma l’effetto complessivo è più che buono e ci sono anche tre tavolini fuori, utilizzati soprattutto per gli aperitivi con prodotti tipi laziali. LA CUCINA ››Oltre al menu scritto, che alterna piatti di carne e di pesce, ci sono alcuni piatti del giorno segnalati su una grande lavagna nera. Le vellutate sono il cavallo di battaglia del nostro chef: morbide e cremose al punto giusto, senza trucchetti da quattro soldi (per intendersi, eccesso di burro o, peggio, aggiunta di panna). Sopra una vellutata d’asparagi, sono arrivate delle capesante in crosta di guanciale: straordinarie. Invece buone, ma non troppo legate, le fettuccelle con spigola, fiori di zucca e bottarga. Non male anche la tagliata e notevoli le patate arrosto di Viterbo. Altro picco, i cannolini di pasta sfoglia con ricotta al pistacchio e salsa di agrumi. Vino d’accompagnamento, un ottimo Barbera d’Alba di Cordero di Montezemolo (non è Luca, per fortuna, sono i cugini). IL MENU ›› Tra gli antipasti, alici fritte dorate, moscardini e insalatina tiepida di polpo con olive di gaeta (11), melanzane in timballo di parmigiana con blu di bufala e pezzi di basilico (10), variazione di baccalà (11), fiori di zucca con ricotta di bufala e filetti di alici (10). Tra i primi, tutti con pasta Benedetto Cavalieri, amatriciana, carbonara e gricia con fave (10), spaghettoni con ragù di polpo verace, capperi e olive taggiasche e scorza di agrumi (12), fettuccelle con spigola, fiori di zucca e bottarga (13), vellutata di asparagi con capesante in crosta di guanciale (12). Tra i secondi, filetto di manzo con salsa al cipollotto di Tropea (22), hamburger le coq (16), trippa alla romana (15), merluzzo al vapore con purè di sedano, rapa (18), tounderol di orata ripieno di salsa di melanzane su vellutata di carote (20) Tra i contorni, patate di Viterbo con rosmarino al forno, cicoria ripassata e primizie (5). Tra i dolci, crocanbouche caramellato al limone, profiteroles, tortino al cioccolato in salsa di fragola, bavarese di nespole con croccante di mandorle, carpaccio di ananas, cannolini di pasta sfoglia con ricotta al pistacchio e salsa di agrumi (7). IL CONTO ›› Cena completa con primo (fettuccelle con spigola) 13 euro, secondo (tagliata di manzo) 19, contorno (carciofo alla romana) 5, dolce (cannolini con ricotta) 7. Caffè 2,5. Acqua: 2 Pane e coperto: 2. Totale 50,5. Vino: Barbera d’Alba di Montezemolo: 19 BONUS ›› L’ambiente bello e rilassante, la passione della proprietaria, la multietnicità del cast (sì, insomma, della truppa, a partire dallo chef). MALUS ›› La musica di sottofondo (un po’ muzak, musica d’ascensori) e i prezzi dei secondi piuttosto alti I VOTI Cucina: 6,5 Ambiente: 7 Servizio: 7 Prezzi: 6+