Serica Milano tel. 02 49782736. La zona Bocconi, incastonata com’è tra Porta Romana e i Navigli, è ricca di un’offerta gastronomica davvero varia in cui non mancano le suggestioni asiatiche. Eppure, Serica si propone come un unicum capace di sposare la cucina cinese del patron Mauro Yap e dello chef Chang Liu con la tradizione più squisitamente occidentale, italiana, milanese.
Un azzardo, quello di Yap, adatto al suo essere figlio d’arte, rampollo di una famiglia che ha fatto la storia della cucina etnica cittadina. E una sfida vinta, visto che nel suo primo anno di apertura ha già sfiorato la stella e ricevuto riconoscimenti da tutte le guide più prestigiose.
Per verificare se la tavola di Serica fosse all’altezza della sua reputazione, abbiamo provato il menu degustazione “Marco Polo” (50 euro): 5 portate che sono state precedute da una selezione di minuscole entrée.
Tra le quattro, spiccava il primo dei signature dish provati durante la serata, l’uovo di quaglia marinato nel tè che è sembrato subito una piccola esplosione di gusto. A fargli compagnia, un’essenziale belga e noci con mayo veg, una cialda di polenta al pecorino e pesto (curiosamente, l’abbinamento mais e formaggio ha ricordato certi snack in busta, pur essendo naturalmente molto più buono) e un involtino primavera ripieno di erbazzone reggiano. Quest’ultimo, forse, l’assaggio che più ci ha traghettato verso il concept del ristorante.
La filosofia è diventata chiara quando, insieme al pane a lievitazione naturale, sono arrivati in tavola un burro all’alga nori e, soprattutto, le acciughe marinate con kombucha, tra gli ingredienti preferiti dello chef appassionato di fermentazioni.
All’assaggio del bao farcito di parmigiana non ci sono stati più dubbi: il gioco è divertente e funziona, il panino cotto a vapore sofficissimo e delicato, la parmigiana saporita e comme il faut, l’abbinamento indovinato. Alla carta, questo piatto è a 10 euro e fa il paio con la versione meneghina, dove il bao è aromatizzato allo zafferano e farcito di ossobuco (12 euro).
Il primo proposto nel nostro percorso sono state le tagliatelle all’uovo emiliane condite con un ragù di maiale alla pechinese da arricchire con aceto nero e salsa piccante, una julienne di cetriolo a rinfrescare. Forse, il piatto meno bilanciato, il condimento fin troppo sapido non faceva apprezzare la delicatezza della sfoglia all’uovo.
La prossima volta vorremo forse assaggiare un altro signature, gli spaghetti al granchio con pomodoro confit e zenzero (in carta a 22 euro).
Siamo tornati alle fermentazioni con la dadolata di peperoni “in stile Hunan”, giustamente piccanti, che ha accompagnato il black cod con mollica ripassata, peperone crusco, crema di taro e spot di crema di aglio nero (in carta a 22 euro).
Si intitola “Non è un’anatra alla Pechinese” il vero piatto simbolo di Serica. Perché il petto d’anatra ha una cottura al sangue più che occidentale, è circondato da una polvere di cetriolo fermentato e accompagnato dal suo fondo, aromatizzato al sesamo, e dagli ortaggi del soffritto all’italiana: sedano, carota e cipolla.
Non mancano però le tradizionali crespelline in cui avvolgere i pezzetti di cibo che si afferrano con le bacchette, arrivate in tavola solamente con questa portata. L’anatra (38 euro) vale sicuramente la prenotazione.
Per essere un degustazione, abbiamo costatato che le porzioni erano praticamente standard. Siamo arrivati quindi abbastanza “provati” al momento del dessert: un tiramisù con cialde di pistacchio che, invece, si è rivelato una nuvola leggerissima.
È stato servito con un fermentato di kombucha e camomilla. Un drink che cambia con le stagioni: nella tarda primavera il kombucha era abbinato al sambuco, in autunno arriverà la versione “strudel” alle mele e cannella.
Menzione speciale per la sala affidata alle cure di Alfonso Bonvini, ex Tokuyoshi come chef Liu (passato indenne anche tra le grinfie di Carlo Cracco, nella seconda edizione di Hell’s Kitchen).
Bonvini – nomen omen – ci ha accompagnato con gli abbinamenti scelti tra le proposte di una carta dei vini contenuta ma interessante. Noi abbiamo bevuto un bianco, Fiano Don Chisciotte 2016 di Pierluigi Zampaglione, e un orange, Grillo Egesta 2016 di Aldo Viola (rispettivamente, 38 e 40 euro la bottiglia, 9 al calice). E ci sono piaciuti.