Dieci cose che ci hanno rotto del Natale, il disagio a tavola visto da dieci cronisti

Dieci cose che ci hanno rotto del Natale a tavola. I giorni che separano l’umanità dal Natale sono sempre meno, sempre troppo pochi. In quei giorni, il rituale festivo prevede di trascorrere più della metà delle ore giornaliere con le zampe sotto al tavolo e il sedere sulla sedia. Spesso in compagnia di ospiti discutibili o poco desiderabili. Ognuno di noi ha condito questa tripletta, 24, 25 e 26 dicembre, di significati diversi, rituali personali o abitudini familiari che esplodono sotto l’albero come i botti di Capodanno. Così da alcuni il Natale è atteso con gola, da altri con angoscia mista a preoccupazione. Nessuno tuttavia è completamente privo di traumi gastronomici natalizi, per cui per raccoglierli tutti e prepararci alle feste imminenti, abbiamo chiesto a 10 giornalisti gastronomici di darci la loro personale versione di quel disagio alimentare che è il Natale a tavola. A voi la scelta:

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A te e famiglia
“Le cose insopportabili delle feste natalizie sono tante. Felpe, maglioni e calzini rossi coi disegni natalizi, renne strafatte, campane, bonsai di abete; i piatti da lavare dopo la cena di Natale, e la mancanza di spazio per cucinare tutte le cose della cena di Natale; la parola “Xmas” per Christmas, che in Italia qualcuno legge “Decima MAS”; lo scotch per incartare i regali del quale è scientificamente impossibile trovare l’inizio; i mercatini di Natale, per i quali vorrei evitare aggettivi ma mi scappano “bieco” e “fottuto”; i fritti di Natale preparati il pomeriggio per avvantaggiarsi, e che a cena hanno consistenza e temperatura della gomma pane; le foto degli alberi di Natale casalinghi condivise sui social che fanno rimpiangere la mancanza di una reazione facebook a forma di “ma chi se ne frega”; “Una poltrona per due” e “Il Grinch” in loop a reti unificate; le riviste col menu di Natale consigliato dagli chef stellati; il panettone siglato dal cuoco di turno, genialmente farcito con provolone, triglia e glassa di cicerchie; la poesia di Natale recitata a cantilena da bambini pungolati da parenti aguzzini, tre dei quali fanno il filmetto col telefono. Tutta roba tremenda, vedete da voi. Ma ce n’è una. Una più insopportabile delle altre. Nettamente. E lì volevo arrivare. Le cene aziendali di Natale. Dalle quali non puoi scappare. In nessuna maniera. Menu concordati, di solito agghiaccianti, annaffiati da vini impotabili. Ore lente come il fango, come quando alle Poste prendi il biglietto 96 mentre chiamano il 7. L’inferno, qui e ora. Ah dimenticavo: buon Natale. A voi e famiglia.”
Armando Castagno
Giunti Academy

No al panettone alla ‘nduja
“Il panettone in Italia simboleggia più di qualsiasi altro dolce il Natale: si è conquistato nei tempi questa fama, passando da una dimensione regionale ad una nazionale. Ed è una fama meritata: il buon panettone artigianale, sia nella versione alta che in quella bassa, sia nella versione con i canditi che in quella con l’uvetta, richiama veramente la festa. E saremmo tutti contenti se non fosse che da qualche anno a questa parte il panettone hanno cominciato a farlo tutti: non solo i pasticceri (e va bene, anche per quelli che lo producono in zone dove mai nessuno ci aveva pensato prima) ma anche panificatori e, soprattutto gli chef, che dedicano il proprio tempo a realizzazioni quasi mai felici, sempre eccessivamente costose. E, ancor peggio con farciture spesso improbabili: quest’anno ne ho visto uno alla ‘Nduja che sarà sicuramente buono, ma mi lascia molto perplesso. Ecco un panettone così non lo vorrei nella mia tavola. Ridatemi il vecchio e caro panettone artigianale.”
Alfonso Isinelli
Agrodolce 

La prepotenza della frutta secca
“Avete chiesto alla persona giusta, perché non mangio quasi niente di quello che si mangia per tradizione a Natale (almeno nel Nord Italia): a quindici anni ho smesso di mangiare carne e all’epoca i miei interpretarono il mio rifiuto del tortellino in brodo natalizio come una ribellione adolescenziale; probabilmente avevano deciso che in chiave psicanalitica corrispondesse a un rifiuto dell’istituzione della famiglia. Eppure oggi scelgo di accanirmi contro una delle pochissime divagazioni vegane sulla tavola delle feste (insieme ai mandarini): cioè la frutta secca. Niente ormai è più destagionalizzato della frutta secca, quando intervistano il nutrizionista in tivù si potrebbe fare un drinking game basato sulla frase “tre mandorle a metà mattina come spezzafame”; ci hanno infine convinto che ha i grassi buoni, quelli che ci servono; non fa alzare la glicemia, previene ogni malattia; le cellule staminali forse non ci salveranno ma la frutta secca invece sì. Dunque mangiatela se credete però non a Natale, già ci si rimpinza come tacchini, abbiate pietà.”
Sara Porro
Amica 

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Il magone, tra coni di bresaola e cataste di tartine
“A Natale tutto scricchiola. Decine di sedute di terapie junghiane, 90 euro a botta, ti precipitano nel gorgo della Réunion familiare. Carburante per mesi di terapia. Provo l’understatement, postando come ogni anno “tra due giorni è Natale e non va bene e non va male”. Prefiguro lo scartamento regali, con lo zio che apre il pacco, il solito libro di Augias su Roma, e io che penso, cazzo, ora lo dice. E lo dice, naturalmente: “Ah Augias, ce l’ho già”. La sera prima irrompo in cucina e c’è una fabbrica di maionese. “Almeno le uova sono bio?”. Madre risponde: “Ne ho prese 400, hanno il codice 3 come mi avevi detto. Era 3, giusto?”. Sul tavolo, la Cucina Italiana, apro a caso: “Come si taglia una pera”. Butto via. La notte sogno il tavolone sociale, gli zii, i centrini, il prosecchino, le cataste di tartine, i coni di bresaola, il pasticcio di carne in gelatina, la mousse di tonno, il vitello con la salsa, il panettone Melegatti 4euroe90, il Gancia Rosè. Per 24 ore, come ogni anno, tornano i fucking anni ’70. Manca solo l’aspic. Però La Febbre dell’Oro non lo fanno più in tv, ora c’è Ficarra e Picone. Vado in cucina, mentre gli altri si scolano ettolitri di vino sfuso dal colore sospetto arrivato in autobotti dal Sud, e mi apro un GranBussia di Conterno. Bevo a garganella. Metto su Brunori Sas e piango: “Quest’anno a Natale volevo scappare / non ero più in grado di sopportare / Mia moglie che puzzava di brodo vegetale / E il cane che pisciava sui fogli di giornale / Perché spesso a Natale mi viene il magone / Con le luci, il presepe e tutte quelle persone / Con i pacchi dei regali, con le facce tutte uguali / Col boccone sempre in bocca come un branco di maiali”.
Er Murena
Puntarella Rossa

Lo spumante va con il fritto non con il dolce
“C’è un errore che accomuna un po’ tutte le tavole d’Italia: viene tramandato con fierezza di generazione in generazione, rappresenta un dogma festaiolo praticato tanto al nord quanto al sud ed essendo una sorta di principio aristotelico nessuno ha il coraggio di confutarlo, perché la fede (si sa) è difficile da mettere in discussione. Potrebbe suonare molto antipatico dire al padrone di casa che vi ha invitato che non c’è peggiore errore che si possa fare nell’abbinare – udite udite – il dolce allo spumante. Allora, alzi la mano chi non l’ha mai fatto? Le mani levate saranno pochissime. Anche se sono decenni che questo ossimoro viene riproposto a tavola sarebbe ora che anche i più ortodossi e amanti del genere se ne facessero una ragione: panettoni, torte, pandori, torroni, dolci regionali e così via non possono essere abbinati alla bollicina perché la pasticceria in generale e il vino spumante sono due rette parallele, uno fa a pezzi l’altro, non si “prendono”, non possono giocare nella stessa squadra. Il trauma può essere superato ricordando una regoletta – già da questo Natale – semplice semplice: il dolce va abbinato al dolce. Quindi avanti con moscato, passito, vin santo e via dicendo. Niente di più semplice. Lo spumante che avete acquistato servitelo all’inizio, magari accompagnando da un buon fritto.”
Sonia Ricci
Repubblica

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Mostarda di Cremona e stracchino 
“La tradizione ha sempre il suo fascino, mangiare cibi che sono a tavola solo a Natale ha la magia del rito che si ripete uguale a se stesso. In effetti, divento tradizionalista per questa festività ma, qualche eccezione non solo la tollero, addirittura la auspico. Il tacchino non è così appagante, difficile da prepararlo nel forno di casa, e poi accompagnerà la tavola per il resto delle vacanze invernali, dovendosi inventare ricette per terminarlo. E la frutta secca? A parte le noccioline, il resto stazionerà in dispensa per l’anno successivo. La mostarda di Cremona non la mangio con il bollito ma la preferisco insieme allo stracchino. Con il panettone ci faccio colazione, dopo il fiero pasto natalizio rischierebbe di annientare le residue capacità digestive. Soprattutto se accompagnato con spumante secco.”
Leonardo Romanelli
leonardoromanelli.it

Le inevitabili classifiche “definitive”
“Contro ogni cliché sull’opulenza di pranzi e i cenoni in stile partenopeo, a me tocca una famiglia piuttosto parca e tradizionalista al ribasso. Dunque, per la Vigilia mi devo sciroppare le immancabili tartine con pancarrè e salmone (o trota salmonata, contaminazione avanguardista introdotta dal lato inglese della famiglia) che anticipano gli spaghetti con le vongole – fatti per bene, devo dire – e il pesce bollito. Di peggio c’è solo il brindisi con panettone e spumante Brut, cui non riesco a sfuggire in nessun modo. Anzi, una cosa che sopporto ancora meno c’è: le inevitabili classifiche “definitive” dei panettoni più buoni del mondo. E le richieste di amici e parenti su quale acquistare per quest’anno, sapendo che poi finiranno inevitabilmente per comprare quello della marca X in offerta al supermercato.”
Luciana Squadrilli
Pizza on the Road

Caro Babbo Natale, abolisci la cannella please
Caro Babbo Natale, quest’anno ho fatto il bravo. Per questo volevo chiederti un paio di regali, giusto due. Per prima cosa volevo chiederti in ginocchio di eliminare dalla faccia della terra la cannella. Quella spezia maledetta che mettono dalle candele al vin brulè, anche se amo il vin brulè, cannella a parte. Ogni volta che la sento mi viene da pensare ai concerti di ragazzini svedesi sorridenti che cantano di cannella e di amore e questa cosa mi fa molta paura. Come seconda cosa, invece, vorrei chiederti di eliminare la gente che fa la spesa. Negozi intasati di persone che si fiondano sull’ultimo panettone venduto a prezzi allucinanti, magari in posti dove la cultura del panettone è un qualcosa di nato negli ultimi due anni, non si sa bene per quale ragione. Se elimini l’uvetta pure mi fai un gran piacere. Però, caro Babbo Natale, ricordati di non eliminare mai e poi mai le bucce dei mandarini per la tombola. Amo il profumo del mandarino mentre non sto per fare ambo. Non eliminare nemmeno i piatti anni 80 di zia fatti di salmone e panna. Non eliminare la frutta secca, che pulisce a fine del cenone. E, soprattutto, qualsiasi cosa accadrà, non eliminare il cenone. Quello mi piace un sacco”
Andrea Strafile
Munchies

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L’esperto di vini, un simpatico fesso
“Oscure calamità si annidano tra pieghe dei giorni che precedono il Natale. Sono gli inviti a cena degli amici. Amici? Gente che latita per dodici mesi all’anno, riaffiora come una muffa autunnale per imbandire collose tavolate natalizie. Case addobbate a festa, volti dolorosamente ritrovati e una costante che ci avvelena la serata: l’amico esperto di vini. Un simpatico fesso che ha conseguito autorevolissimo diploma nel winebar sottocasa. E maneggia la propria erudizione come un’arma. “Il vino lo porto io!”, dichiara col tono delle decisioni irrevocabili. Fino a pochi anni fa, stappava bottiglie barricatissime, dense di vaniglia sino alla nausea. Oggi ha scoperto i vini naturali e maceratissimi, che conduce tronfio in tavola. Bibitoni aranciati che sanno di calzino o di sacrestia, secondo le tecniche di afflizione che sono state perpetrate. In quei casi, mi ribello e bevo ostentatamente bicchieroni di minerale. “Ma come, bevi acqua?”, obietterà il cretino. “Sì, certo, ma non spaventarti: anche questa è naturale”.
Valerio M. Visintin
Corriere Milano

Viva il cenone, abbasso i grinch che lo denigrano
“Cosa non mi piace del Natale? Ci ho pensato a lungo ma il punto è che del Natale mi piace tutto. Dai vol-au-vent con i gamberetti ai crostini con il salmone affumicato, dall’insalata russa al prosciutto arrotolato sui grissini. Mi piace il baccalà alla vicentina di mamma, il vitello tonnato di nonna, i tortellini in brodo dell’altra nonna, che quando era più in forma (arrivarci così a 89 anni!) faceva un coniglio al forno strepitoso. Mi piacciono le tovaglie rosse, i centrotavola kitsch, le colonne sonore tematiche e i pranzi gargantueschi, di quelli che fai fatica ad alzarti dalla sedia o che puntualmente ci si è dimenticati una pietanza in forno e allora la si mangia dopo il dolce (succede solo a casa mia?). Tra le tavole imbandite e agghindate a Natale non riesco proprio a trovarci qualcosa di detestabile, non se tutto è contestualizzato. Dunque, cosa non mi piace del Natale? Fondamentalmente chi lo denigra. Siete dei maledettissimi grinch!”
Annalisa Zordan
Gambero Rosso

Foto di copertina: Troy T on Unsplash