Etichetta trasparente del vino, Bea (Viniveri): “In arrivo buone notizie”

Etichetta trasparente del vino Le norme sulle etichettature del vino in Italia sono paradossali, al limite del ridicolo. A norma, è vietato sapere cosa beviamo. E’ vietato scrivere sull’etichetta da quali vitigni viene il vino. Quali ingredienti sono stati aggiunti. Quanti solfiti ci sono. E che tecniche di lavorazione vengono utilizzate. Non parliamo poi di scrivere se è un vino naturale o meno. Di tutto questo abbiamo parlato con Giampiero Bea, vignaiolo in Montefalco, nonché presidente del consorzio Viniveri, la meritoria manifestazione di vini naturali che si tiene ogni anno a Cerea (Verona). La quattordicesima edizione, dal 7 al 9 aprile,  è dedicata alla rinascita dei territori colpiti dal terremoto.

Giampiero Bea Viniveri

Bea, parliamo di etichette di vino.

“Bene, vedo che si ascoltano spesso presunti esperti che non se ne sono mai occupati. Noi siamo impegnati sul tema almeno dal 2012”.

Cosa chiedete?

“Un’etichetta trasparente, dove sia possibile scrivere tutto. Io, consumatore, voglio sapere quello che bevo”. 

Partiamo dallo stato degli atti. Attualmente i vari uffici locali dell’Icqrf, l’ispettorato prevenzioni frodi, agiscono in modo difforme. In alcuni uffici si sanziona, in altri no. C’è qualche speranza di cambiare le cose?

“Sì. Abbiamo contatti con il ministero delle Politiche Agricole e spero di poter dare un annuncio positivo a Cerea. Basterebbe emanare una circolare che chiarisce, per esempio, la questione della solforosa. Attualmente alcuni uffici periferici danno un’interpretazione per la quale è necessario scrivere “Contiene solfiti” quando la solforosa supera i 10 milligrammi al litro. In realtà, già quelli naturali, non aggiunti, superano spesso questa soglia. Qualcuno, in questo caso, scrive: “Non contiene solfiti aggiunti”. Beh, attualmente alcuni uffici li sanzionano. Io spero che il ministro Martina possa darci la notizia di una circolare che faccia chiarezza su questo e altri punti”.

Una circolare, però, non basta per avere davvero un’etichetta trasparente. Serve una norma europea. Qual è lo stato del dibattito?

“Noi vogliamo che si possa scrivere tutto in etichetta, ingredienti e lavorazione. Ma c’è una forte pressione delle lobby delle industrie, che stanno provando a percorrere una strada alternativa, pericolosa. Quella di inserire in etichetta solo i valori nutrizionali”.

Cioè?

“Come per i biscotti, per fare un esempio. Dove vengono scritti grassi, carboidrati, proteine. Questo però renderebbe le etichette più o meno uguali e impedirebbe di poter scrivere anche i coadiuvanti, gli enzimi, i lieviti. Per me tutto quello che è estraneo alla materia prima della vigna va scritto. Compresa la solforosa”.

cerea vini veri 2017

C’è chi dice che sbagliate a insistere sulla solforosa e sull’etichetta trasparente.

“La solforosa si può usare per proteggere il vino dall’acidità volatile. Si può usare in modo intelligente, non inibendo i batteri iniziali e aggiungendola a fine fermentazione. A valori bassi, non inibisce il vino e gli consente di mantenere la sua identità. C’è chi dice: faccio il vino senza solforosa aggiunta e voglio scriverlo. Ma poi magari usa altri sistemi, che non si citano: processi tecnologici, che vengono mantenuti segreti. Ecco, io vorrei sapere che cosa sono. Per questo vorrei che si aggiungesse anche l’obbligo di citare i metodi di lavorazione”.

A un certo punto potrebbero imporvi, come per le sigarette, un’etichetta dove si dice che il vino fa male.

“Lo sostiene, per esempio Renaissance, l’organizzazione dei vini naturali francese. Ma sarebbe assurdo. Mentre fumare una mezza sigaretta o fumarne cento fa sempre male, bere mezzo bicchiere di vino, è provato scientificamente, fa bene. Quindi non potranno mai scrivere che bere vino fa male. Fanno male gli eccessi. Anche l’aspirina, se esageri, ti intossica”.

Torniamo all’etichetta. Non possiamo neanche sapere le uve da cui vengono il vino.

“Sì, le faccio un esempio. Nel disciplinare della Doc del Montefalco Rosso è previsto che si possa usare dal 10 al 15 per cento di Sagrantino, ma nelle etichette dello stesso non è permesso scrivere la presenza di uve Sagrantino; ciò è dovuto al fatto che in passato, alcuni produttori della nostra zona hanno voluto ottenere la protezione del nome Sagrantino prevedendone la citazione solo nelle etichette dei vini a Docg.  La mia opinione è diversa. La nostra scommessa deve essere quella di far apprezzare  i vini che si generano nelle migliori colline di Montefalco: potranno coltivare il vitigno di Sagrantino in tanti altri luoghi sparsi nel mondo, ma mai potranno replicare l’orografia e la biodiversità dei siti esistenti a Montefalco, quale unico luogo di origine del Sagrantino. Se siamo certi di come operiamo, non dobbiamo temere i tentativi di imitazione. Nel frattempo oggi siano nelle condizioni di non poter riportare in etichetta la completezza delle informazioni. La soluzione credo sia  semplice: basterebbe prevedere che tali diciture siano permesse, magari con dimensioni contenute”.

Cos’altro deve essere scritto nell’etichetta?

“Tutto. La micro ossigenazione, il controllo della temperatura, il filtraggio, le chiarifiche”

Rischia di diventare un’etichetta monstre.

“Si potrebbe usare  qr code, per semplificare”.

Fate battaglie da anni, ma siete divisi. Troppe associazioni, troppi interessi divergenti. 

“Non si può negare che ci sia questa difficoltà a intendersi. A Cerea, abbiamo aperto un tavolo permanente e il primo convegno lo abbiamo fatto nel 2012. Ma, certo, di fatto non c’è un vero tavolo di confronto. A livello internazionale, sono con noi spagnoli e portoghesi, mentre i francesi sono meno convinti”.

viniveri 2017 cerea

La burocrazia nel settore è ancora forte?

“Sì, hanno introdotto la dematerializzazione, operativa pienamente dal 1 maggio, con il registro telematico del vino. Ma resta l’assurdità che ci si impone di acquistare un programma per la gestione”.

E la dicitura tanto contestata di “vino naturale”?

“Su questo non ho grandi speranze. Si va contro interessi molto grossi, contor lobby ben organizzate. Insistendo su questo si rischia di fallire anche sull’argomento etichetta trasparente. Io, più che la dicitura, voglio poter spiegare che il vino naturale è qualcosa di più del vino biologico o biodinamico”.

Sì, c’è una grande confusione sul tema.

“Basta con il biologico o biodinamico che si spacciano per naturale. Loro possono essere una base di partenza, la condizione necessaria ma non sufficiente. Il vino naturale è oltre, comprende ben altro. Cosa rimane di un’uva, anche se coltivata in materia biologica o biodinamica, se  in cantina butto via la buccia, azzero i batteri con processi meccanici, uso filtraggi e solfiti e reintroduco lieviti, enzimi  e nutrienti? A quel punto non sono più le uve del mio campo. Cosa rimane di quell’identità nata nel territorio? Detto questo, forse un giorno si potrà usare una dicitura diversa”. 

Per esempio?

“Io ho pensato a “Vino secondo natura”, con la sigla Vsn. Oppure “Vino che non ha subito processi” o “Vino senza stabilizzazioni forzate”. Anche se questi ultimi sono troppo complicati per il consumatore. Vedremo. Intanto confidiamo nelle novità dal ministero”.