Gli chef peggiori del 2016 (sostiene er Murena). E un addio

Gli chef peggiori del 2016 Lo so che vi aspettate il meglio del 2016, ma non ci penso neanche a fare l’ennesima listina, lascio ad altri l’onere e l’onore di pensarci. Io sento già l’ansia del panettone, degli orridi canditi, della famiglia disfunzionale che ci aspetta e delle nevrosi da regali e quindi, abbiate pazienza, mi devo sfogare. Dunque, vi faccio una classifica del peggio dell’anno in ambito enogastronomico. Ecco il podio dei tre chef che mi hanno abbondantemente stufato (non in cucina eh, che con quei prezzi chi ci va?). E, per riportarci per un attimo con i piedi per terra e uscire da quella che Andrea Cuomo chiama la “bolla dell’alta gastronomia”, usciamo dai paradossi e dal sarcasmo e diamo un ultimo addio a uno chef che ci ha lasciato. E un ringraziamento a tutti i cuochi senza identità.

Massimo Bottura

botturaLa smentita è stata debole, tardiva, una pezza peggio dell’annuncio: “Se vince il no al referendum, me ne vado”. Una roba tipo: “Ops! Mi è caduta la crostata al limone”, per citare uno dei nomi dei suoi piatti. Inutile dire che non si è schiodato da Modena, il nostro chef, fresco di miliardi di onorificenze e di una girandola di iniziative, dalla mensa per poveri a Sotheby’s, dal coro dell’Antoniano a Palazzo Chigi. In un Paese che ha ormai assurto gli chef a nuovi Arbasino, può capitare che Bottura si confronti con Zagrebelsky e sia il nuovo Eco. Del resto un settimanale ha appena pubblicato un servizio in cui il noto proprietario di ristoranti Joe Bastianich ci spiegava il motivo del successo del nuovo presidente degli Stati Uniti. Una volta erano Ugo Stille e Alberto Ronchey, ma così vanno i tempi. Quando un personaggio come Bottura straborda e supera i confini dei suoi fornelli, la difesa è la solita: siete invidiosi. E’ vero, siamo invidiosi. E allora? Siamo invidiosi e crediamo che l’architettura costituzionale non sia nel bagaglio di conoscenze del Bottura. Torni al suo bollito non bollito.

Gianfranco Vissani

vissani

A me il Vissani sta simpatico da morire. E’ un omone con una bella umanità e una sua goffa simpatia. Però è un furbetto del mestolino, uno che per andare sui giornali, metterebbe il topinambour nella carbonara. Già qualche anno fa ci  occupammo di lui, mettendolo tra gli chef da rottamare. Ora torna sulla scena (non era mai sparito, in verità), con la polemica sui vegani. Succede che vada in tv e si esprima con la consueta misura e con ottima padronanza della lingua: “I vegani è una setta. Sono come i Testimoni di Geova, li ammazzerei tutti”. Salvo poi far finta di duellare con la filo vegana Giulia Innocenzi e finire per civettare, promettendo di scrivere un libro di ricette vegane, manco fosse Simone Salvini, il cuoco vegan di Crozza. Ah Gianfra’, ci piacevi di più quando mangiavi gli uccellini al tegamino

Antonino Cannavacciuolo

img_3951C’è lui con questa faccia da schiaffi, la barba a incorniciargli il ghigno, il capello unto pettinato all’indietro, il braccio destro che si sporge in avanti a mostrare una polpetta (?) adagiata su un piatto, con contorno di foglie morte colorate. Sullo sfondo, un cielo stellato e una scritta tra il surreale e il ridicolo: “Che Natale sarebbe senza gorgonzola?”. Ahi ahi ahi Antonino, ci sei cascato anche tu, nell’avidità da vil denaro. Difficile dire se sia peggio lui o il Cracco delle patatine. Anche se devo dire che lo spot ultimo del Cracco è straordinario, con questo incipit romanzesco che ti spiazza: “Vi starete chiedendo: cosa ci fa Carlo Cracco in un bagno Scavolini?” (come cosa ci fa? Sta nel suo “living“, no?). Comunque sia, vado a preparare la farcitura di gorgonzola per il panettone Motta e poi prendo un paio di patatine e le farcisco con uovo di quaglia al tegamino, pancetta e senape in grani. Buon appetito.

Addio

nesporIn questa orgia di cazzate, con chef iperstellati che non mettono piede in cucina da anni, con sedicenti chef che vivono in tv, con gente improponibile che campa sulla bolla mediatica del food, vogliamo dare un saluto a chi non ha retto il peso di un lavoro (perché di questo stiamo parlando, di un lavoro) durissimo, ingrato, che si fa soprattutto lontano dalle telecamere e dai taccuini dei foodblogger. Un lavoro che a volte diventa più grande di te, con un’ambizione lusingata e poi frustrata da un sistema malato, con una pervasività dell’impegno e un rischio economico che ti impediscono di vedere il futuro. E allora quest’anno diciamo addio, con rispetto, a Beniamino Nespor (nella foto, a sinistra) che segue la triste scia lasciata da Benoit ViolierBernard Louiseau,  Pierre Jaubert, Homaro Cantu, Franco Colombani, Sauro Brunicardi, Joseph Cerniglia, Rachel Brown, Joshua Marks, Alberto Boi.