Fenomenologia di Oscar Silvio Farinetti

 

 

Una macchina da guerra, un incantatore di serpenti, un Berlusconi 2.0, con i baffoni socialisti al posto del cerone e una bella camicia dalle maniche aperte al posto del doppiopetto

Dopo il casino della cacio e pepe da 20 euro, avevo promesso a me stesso che non avrei più scritto nemmeno una riga su Eataly. Avrei continuato a frequentarlo, a guardare con occhio storto gli avventori carrellomuniti accalcati davanti ai barattoli di sale blu della Lapponia, e avrei anche continuato a comprare gli hamburger Giotto sottovuoto, di nascosto dalla mia coscienza e dai miei amici che mi avrebbero accusato (ovviamente sbagliando) di contraddirmi.
Però, avevo promesso a me stesso: scrivere no. Poi è arrivato Puntarella Rossa. In persona. E siccome a lui non si può dire di no, lunedì 17 settembre 2012 intorno all’ora di pranzo mi sono ritrovato nella saletta convegni di Eataly a sciropparmi l’intera conferenza stampa con cui Oscar Farinetti ha presentato al mondo il suo ultimo progetto: Vino Libero. In realtà non si è inventato niente il Farinetti, ha solo messo un vestito nuovo a un prodotto (il vino senza chimica) che si fa da millenni (e probabilmente si fa anche meglio di come lo fa lui). E però la sua mossa risulta ugualmente geniale e, a mio parere, sarà anche vincente.

Ma Spartaco, il vino “liberato” da Farinetti (che si differenzierà da quello ancora “schiavo” grazie a un’etichetta adesiva, che dovrebbe aggirare il divieto di intervenire sull'etichetta) era solo un dettaglio sperduto nella vasta sala di Eataly. Perché il vero oggetto della comunicazione era un altro: e cioè l’augusta persona del Farinetti medesimo. Una macchina da guerra che sarebbe capace di convincere un capitello a fare i cento metri. Più che un uomo, un concentrato di tecniche di vendita e retorica di qualità. Un Berlusconi 2.0, con i baffoni socialisti al posto del cerone, e una bella camicia dalle maniche aperte al posto del doppiopetto. Accento piemontese e capelli modello sor Pampurio, il nostro fissa la platea come un incantatore di serpenti e dopo mezz’ora di oratoria d’alto livello ti sorprendi a non avere le mani incollate tra di loro sopra la testa, come accadeva durante certe torbide puntate di Domenica in. E allora ti guardi intorno e vedi la platea incerta tra risate e commozione, torme di food blogger pronti a dichiarare guerra alla Francia pur di riprendersi i presidi Slow Food della Corsica, signore imbellettate che neanche nel foyer del Sistina, studenti al primo anno di marketing vestiti come seguaci di Scientology.
Lui, dall’alto di una pedanina in rovere da dieci centimetri, sembra che parli da un balcone con vista su piazza Venezia. Declama strategie per un futuro migliore, disegna traiettorie salvifiche “dal male al bene, dal bene pulito, dal pulito al giusto”, qualcosa a metà tra Veltroni e Ron Hubbard. Un progetto politico declamato da un politico fatto e finito. Anzi un superpolitico. Se domani decidesse di candidarsi alle primarie del pd, non ci sarebbe scampo per nessuno, hai voglia a camper e giaguari smacchiati. Davanti a lui, in prima fila, c’era, con tono vagamente abusivo, Alfonso Pecoraro Scanio. Era seduto, pareva genuflesso. Piccolo, vuoto, tecnicamente inutile. Annuiva ad ogni parola. E pensare che tra Pecoraro Scanio e Farinetti questo paese ha fatto ministro il primo…

Dopo un’altra mezz’ora di predica, il dubbio si fa certezza. Lo fa con molta nonchalance, ma lo fa: mi piglia per il culo. Spudoratamente ma senza farsene accorgere. Che poi è l’unico vero talento dei grandi, lo stesso con cui Napoleone mandava al macello i contadini francesi travestiti da soldatini. Se ci stai attento, ti accorgi di qualche contraddizione (tipo quando dice che la gente comune è fantastica e poi però spiega di volersi rivolgere solamente ai lettori dei quotidiani e non a quelli che comprano “Sorrisi e canzoni” o "Chi"). Ma se ti lasci andare ti ritrovi a navigare con la fantasia a miglia di distanza da qualunque approdo della logica. E questo perché non ti dice che cosa sta comunicando, per carità d’iddio, sarebbe offensivo, tu già lo sai, tu sei troppo intelligente, tu sei uno dei nostri… No! Lui, a te, dice come lo comunicherà agli altri (alla gente comune che evidentemente è sì fantastica ma mai quanto te). E lo dice usando un linguaggio semplice ed efficace. Pieno zeppo di parolacce e di “noi”. “Noi abbiamo Lagranda, noi faremo una campagna mediatica gigantesca, noi libereremo il vino. E anche l’Italia. Noi faremo il culo ai francesi”.
Saranno stati quegli occhioni furbi e quella prima persona plurale urlata al cielo così, con tanta scioltezza, per un attimo ci sono cascato anche io. E davvero mi sono immaginato alla guida di un esercito alle porte di Parigi, davvero ho creduto di possedere i manzi di Lagranda e le vigne nelle Langhe. “La merda buona? Il letame per la coltivazione senza agenti chimici? – ho pensato – e che problema c’è. Con tutte quelle bestie cui quotidianamente do da mangiare…” Poi però mi sono guardato le mani, ho visto il solito stanco taccuino da cronista e di colpo sono tornato alla realtà.
Lui ha Lagranda, Lui libererà il vino, Lui farà la campagna mediatica
. Anzi, per l’esattezza, la sta già facendo.
Lui è Oscar Farinetti. Io sono solo il suo target.