Hard rock, imagine no cheeseburger

"Dove si va stasera, ci facciamo un bigmac? Mannò, sei il solito sfigato, andiamo a mangiare in un posto figo, andiamo all'ardrocche". Guardando la coppietta di giovani piccioncini seduti sulle sedie dell'Hard Rock Cafè, intenti a scambiarsi effusioni e lingue sulle pelli tatuate, immaginavo la conversazione preserale. Bel posto l'Hard Rock Cafè, perfetto per sentirti nel Tennessee, o ad Abu Dhabi, anche stando nel cuore dell'ex Dolce Vita. Immagino che ci siate entrati, almeno una volta nella vita. Sennò fatelo, ma solo una volta. E' un'esperienza. Entrate nella grande democrazia americana, con tutto il suo carico di fascino, ipocrisia, marketing ed efficienza. Sia chiaro, noi si adora la democrazia, e anche gli States, ma quando il cameriere italo-sudamericano ci si avvicina e dice: "Ciao, io sono Franco e sono il vostro cameriere, vi lascio leggere con calma il menu e tra dieci minuti sono da voi", non possiamo fare a meno di sorridere. Sorridiamo al nostro cameriere Franco e alla straordinaria democraticità di darsi del tu con il cameriere, chiamandolo per nome. Non ci tiriamo indietro e rispondiamo grati: "Grandissimo Franco, noi siamo Giuseppe e Jessica, piacere". Allunghiamo la mano, ma lui solleva due pollicioni trionfanti, con un sorriso che sembra squarciargli la mascella.
Bon, si dà un'occhiata al menu. Si prende l'hamburger, no? Eccerto, siamo all'ardrocche, che vuoi prendere?

Il paginone centrale del menu è completamente dedicato ai Legendary burgers, in svariate fogge. Trattasi di 280 grammi di manzo servito con pancetta, formaggio cheddar, anelli di cipolla croccante, guacamole, salsa Ranch e cetrioloni. Io, in realtà, volevo un hàmburger semplice.
Ecco Franco. Oi Frank, ma un hàmburger normale ce l'avete? Il sorriso si incrina, la mascella si irrigidisce. Certo, risponde rapidamente, indicando in fondo al menu un titoletto microscopico, manco fosse la clausola vessatoria di una polizza. Dice così: Classic 6. 0z Burger, 10,95. Cazzo, undici euro. Non male per un hamburger. Mi vengono in mente i gastrofanatici che contestano la carbonara a 13 euro. Poi guardo i Legendary. La libertà di scelta c'è tutta, chiaro. Siamo in America bellezza: puoi liberamente optare per un hamburger leggendario pieno di ogni bendiddio oppure scegliere quella cosa là in basso, molto classic e basic e poor.
Franco attende, pazientemente. Ho paura di deluderlo.

Il legendary, noto, costa 14.95 euro. Più della carbonara con l'uovo di Parisi. Smettila, mi dico. Torno giù al classic e lo dico a Franco tutto d'un fiato: due classic e due birre chiare piccole. Franco, velocissimo, mi dice: con formaggio? Sto per rispondere sì, quando mi casca la pupilla sulla legenda del Classic: aggiunta di formaggio 1 euro, pancetta croccante 1 euro. Eh no. E che cazzo, così arrivo a 12.95, spendo quasi come per un panino leggendario e mangio un dozzinale classic. Niente formaggio, aggiungo.


Franco, con la sua corona di spillette Hard Rock (ne avrà 50 in ogni parte della casacca) si allontana. Vedo passare le cameriere. Tutte uguali, con gonnelline, gambe nude (talune tatuate), calzette bianche e sneaker bianche. Molto cheerleader, non fosse che sono probabilmente di Latina e non particolarmente leggiadre. La birra non arriva. Ho la tentazione di fermare una cheerleader ma Jessica mi ricorda che il nostro cameriere è Franco. Giusto, dico, non sia mai che si offenda.
 Torna Franco, accompagnato da un altro cameriere: "Ciao, lui è Jaco, il vostro nuovo cameriere, io vado". Un po' frastornati salutiamo e loro se ne vanno, con i pollicioni alzati e il sorrisone. Ci guardiamo intorno. In fondo alla sala ci sono un paio di schermi. Trasmettono video del canale Hard Rock. Immagino che in questo esatto momento, qualche poveraccio dell'equivalente di Puntarella Rossa di Singapore sta mangiando un burger classico guardando i miei stessi video: rumoroso rock anni '80, Ozzy Osbourne, Gun's and Roses.

Jaco arriva dopo un po', con le birre piccole. Il primo sorso è il paradiso, come sempre. Finiscono in fretta. Subito dopo arrivano gli hamburger. A quel punto è d'obbligo prendere un'altra chiara, sennò la mappazza non va giù. Jaco è pronto: prendiamo due belle medie? Eh no, caro Ja, prendiamo altre due belle piccole. Fa una smorfia e via. Le birre arrivano tardi e senza schiuma. Vabbè, Franco era tutta un'altra cosa.
Il burger è così così, niente di che. Buonino, per carità, ma quando ci metti su il ketchup e mangi ventidue patatine, puoi mangiare qualunque cosa.
La bella serata volge al termine. Ridiamo un'occhiata al menu.

Spunta un foglietto che attira la nostra attenzione. Ci sono i volti di quattro bimbi, tre neri e un asiatico. I tre neri sorridono, l'asiatico ha una faccetta triste. Sopra c'è scritto, in grande: "Imagine. There's no hunger". Il volantino invita a unirsi contro la fame nel mondo e contro la povertà. Noi ci uniamo volentieri. Jaco ci spiega: potete dare un versamento e in cambio avete il braccialetto.
Un euro è il minimo, con un euro nutri cinque bambini, dice il volantino.
Cazzo, il formaggio, penso. Potrei nutrire cinque bambini con il formaggio che ho risparmiato.
Imagine.
Imagine no cheeseburger.
Il braccialetto, va detto, fa schifo. E anche il volantino. Penso a Yoko Ono, maledetta, ha rovinato John e ora ha dato anche il via libera a questa campagna ricattatoria. Jessica mi scuote il braccio: "Oh, Giuseppe. Io ho ancora fame, che si fa?". Usciamo, dopo aver pagato 45 euro e 50 in due, non senza prima aver dato un'occhiata allo shop dell'hard rock. "Oi, Giuse, ci facciamo un bigmac?".

* i nomi  sono di fantasia

Il braccialetto "feed the world"

Gambe di cameriera-cheerleader tatuate