Umami Roma, ramen e sake tra San Giovanni e Kanagawa

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Umami Roma San Giovanni. Un tempo qui i romani ci venivano a giocare al lotto. Poi è nata una trattoria super ruspante, il Vecchio Lotto, cucina napoletana con cuoca rumena. Un paio di anni fa è arrivata la Locanda Isma, ambiziosa e creativa, durata lo spazio di un ave maria.

Ed ora eccoci qui da Umami, ultima creatura del giovane e ultra prolifico Marco Pucciotti, che ha praticamente requisito ogni spazio disponibile a Roma Est,  con un blitz krieg che non sta lasciando prigionieri: Sbanco, Epiro, Barley Wine, Santo Palato, Blind Pig e chissà quanti altri.

Un luogo, insomma, simbolico della storia gastronomica della città, che sta perdendo trattorie storiche, magari meticciate con altri culture, magari discutibili nel loro essere pittorescamente ancorate alla tradizione, a vantaggio di tentativi di modernità non sempre riusciti. Umami si colloca nella new wave di ristorazione giapponese che abbandona la strada risaputa di sushi e sashimi e abbraccia la nuova moda del ramen, che vede già molte aperture a Roma (Waraku e Akira Bar Ramen tra gli altri).

A proposito, che cos’è questo  Umami? E’ il cosiddetto quinto sapore, dopo l’amaro, il dolce, il salato e l’acido. Difficile identificarlo: è la combinazione di glutammato di sodio (un sale) e inosina 5 monofosfato (un aminoacido). Questo sapore è presente nel parmigiano, nella carne di pollo, nel pomodoro maturo, nei piselli e in altri ingredienti.

L’ambiente

Un locale di dimensioni ridotte, in una stradina a due passi da San Giovanni, con un ambiente diviso in due parti, una sala con una decina di tavoli e uno spazio sopraelevato di qualche gradino con altri due o tre tavolini. Design minimalista, come si conviene a un ristorante di cucina giapponese, ma senza esagerare nella raffinatezza.

Lo chef

Quanto alla cucina, la prima cosa da dire è che lo chef non è di Tokyo, ma di Caltanissetta: si tratta di Giuseppe Milana, classe 1988. Niente di male, in epoca di globalizzazione si può fare questo e altro. Ha esperienze con Filippo La Mantia, poi il progetto di Pataclara, infine l’approdo qui.

Il menu

La cucina si ispira a quella tradizionale del Kanto, la regione più industrializzata e centrale del Giappone, che comprende Tokyo e Yokohama. Sospesi nel limbo celeste tra l’Appio latino e la prefettura di Kanagawa, eccoci a osservare i quattro tipi di ramen presenti nel menu: Toriniku (pollo speziato, alga nori, brodo di pollo, uovo), Yasai  (tofu, salsa ponzu, miso, brodo di alghe e di verdure), Umami (maiale speziato, zenzero, uovo marinato, brodo madre) e Spicy Ramen (con peperoncino). Tutti i ramen sono fatti con noodles (gli spaghetti giapponesi non di grano duro) del Pastificio Secondi e tutti hanno i funghi shitake (i funghi orientali che crescono sui tronchi delle querce). Detto questo, l’Umami ramen che abbiamo provato era saporito ma molto delicato, forse un po’ troppo.

Ma non c’è solo ramen da Umami. Tra gli altri piatti troviamo lo shabu-shabu (selezione di carni scelte, 20 euro), gli spiedini yakitori (9 euro).

Da provare gli ottimi Bun, i panini al vapore che ormai spopolano in Italia (4 euro).

Questi, invece sono i gyoza, i ravioli con gamberi, maiale e tofu.

E da bere? Una carta ricchissima di sake e di distillati nipponici (shochu). E una birra prodotta con luppoli giapponesi nel microbirrificio Free Lions di Viterbo.

Umami Roma via Veio 45, tel 3312630870