Il Game, le élite del culatello e il ragù di cittadinanza

Il Game, le élite del culatello e il ragù di cittadinanza

Mai come oggi si può leggere la realtà attraverso il gioco del cibo, e del cibo narrato attraverso i nuovi media. Il Game, per dirla con Alessandro Baricco. Elite e popolo sono tornati a scontrarsi, come ciclicamente accade. Il foie gras dei re e delle Marie Antoniette, che regalano brioche  al popolo, antipasto della ghigliottina che verrà. Ma anche l’élite che si finge popolo, lo scimmiotta e nella brutale semplificazione del potere populista trasforma quel prodotto complesso e culturale che è il cibo – e il suo derivato, la cucina -, in una sovrastruttura da demolire.
Il piatto gourmet, bello, estetizzante, incomprensibile.

L’amuse bouche, come quello della chef Aurora Mazzucchelli del ristorante Marconi massacrato da Milena Gabanelli, populista d’antan (qui la replica di Massimiliano Tonelli, sul Gambero). La porzione ridotta, minimale, lo sbaffo colorato su una sostanza suggestiva, il dipinto d’autore di cui si diffida, come si diffida del sapere accumulato negli anni, nei secoli. Perché quel piatto minimale, molecolare, incomprensibile nella sua ermeticità, è visto come il risultato di un linguaggio gastronomico volutamente complesso, volto a disorientare e a ingannare il popolo. E tutti i progressi che si sono avuti nell’alimentazione, per accrescerne la biodiversità, la ricchezza culturale, sono derubricati a un sistema di segni per iniziati, strumenti di detenzione del potere, vizi di una casta che ha alimentato la propria ricchezza, nutrendola di raffinatezze inutili.
Ora il Game ha reso accessibile il sapere e immediatamente comunicabile il proprio giudizio sul mondo. Si è abbattuto il monopolio delle élite, le stelle della polverosa Michelin sono l’ultimo baluardo che presto sarà preso d’assalto e che già oggi è detronizzato da una massa che ha il potere in mano, lo smartphone, e lo usa con ferocia trinciando giudizi, cancellando e assegnando  stelle attraverso i Tripadvisor, i Quandoo e i social che si sono impadroniti del reale. Il risultato di questa ribellione in ordine sparso, di questo neo populismo gastronomico è il rifiuto di ogni forma culturalmente avanzata a vantaggio del recupero di inesistenti tradizioni e di una massificazione industriale, che ci riporta dritti agli anni ’70. Le tradizioni come sapere condiviso dal popolo, e quindi come elemento di democrazia dal basso.

Basta scorrere la timeline dei protagonisti del populismo per ritrovare la semplicità rassicurante di un paio di uova in padella, la Madeleine Nutella, che ci sdogana dall’ossessione per l’olio di palma, il sugo da supermercato, il panino semplice, contro il moltiplicarsi eccentrico e centrifugo dei lieviti madre, dei grani antichi miliardari, del bioveganesimo. Contro ogni sapere, il food pairing, l’artigianalità, l’arte dell’impiattamento, le diete, ecco Salvini che posta un piatto volutamente fuori dai canoni estetici della food photography, suscitando la comprensibile reazione di Chef Rubio: “T’anno cacato nel piatto, minì”. Sono gli ormai famosi “due etti di bucatini Barilla, un po’ di ragù Star e un bicchiere di Barolo di Gianni Gagliardi. Alla faccia della pancia!”. Un concentrato di populismo gastronomico che smantella decenni di sifoni, basse temperaturenouvelle cuisine, parte all’attacco dell’immaginario da Prima Repubblica, con le catalane di crostacei, le montagne lussureggianti di ostriche e caviale, e si prepara all’assalto finale.

di maio mangia piadina

Via il culatello, il Castelmagno, i presidi Slow Food.  Il ragù (industriale) di cittadinanza, secchiate di grassi polinsaturi e strutto, una “piadina al volo” e un bel trancio di pizza nel cartone sono il cibo democratico di cui si nutre la nuova élite rivoluzionaria, contro il gastrofighettismo svelato e ghigliottinato. Il prezzo non è più giusto, la fatica del lavoro, della cultura gastronomica, del sapere, della lavorazione artigianale, della biodiversità, sono un lusso che non ci si può più permettere perché sono scambiati come una cambiale della casta che ci affama. Pagare poco, mangiare male, sbeffeggiare la casta dei “gourmet” e degli chef. Servirebbe il post dadaismo di Piero Manzoni, una nuova merda d’artista.

Ma il tiramisù è nudo. E a noi è passata la fame.